Chi ama, capisce
Il Vangelo di Giovanni è, spesso, considerato teologicamente più elevato e, di conseguenza, anche il più complesso. In realtà, a ben guardare, si tratta anche del testo che contiene i più insistiti riferimenti all’amore. Che oltrepassa l’abituale sequenzialità argomentativa, tanto che possiamo percepire, in modo quasi palpabile, la presenza dello Spirito, che prega in noi e per noi “con gemiti inesprimibili”1.
Forse, più ancora dei sinottici, che tendono ad avere un legame di seconda mano2 con Cristo, questo è indice della relazione autentica che sostiene il Quarto Vangelo. Solo l’amore è in grado di comprendere: una comprensione che oltrepassa il lavorio intellettuale, perché conosce tramite un’intuizione affettiva e non solo intellettiva.
Attenzione alla dinamica…
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,15)
Una lettura frettolosa potrebbe far pensare che Cristo stia dettando le proprie condizioni: “chi vuole amarmi, segua i comandamenti”, oppure, peggio ancora: “seguite i miei comandamenti, se volete ottenere il mio amore”. Nel primo caso, si parla di un amore posto sotto condizioni previe, nel secondo, si tratta, invece, di un ricatto affettivo, a tutti gli effetti.
Se ami, si vede
Il senso profondo, come spesso accade, è il più evidente. L’amore è concreto, non perdona i proclami senza il seguito dei fatti. Si ama con i fatti, “non a parole”, perché la verità “si fa”3: è una costruzione lenta, progressiva e paziente. Il cui risultato è pero inequivocabile. L’amore emerge sempre dal grigiore quotidiano. Chi osserva i comandamenti, lo fa perché ama. Non c’è bisogno di costrizione: l’amore sospinge la volontà, perché il desiderio dell’amato accende quello dell’amante come una candela si accende per il fuoco di quella vicina. Nel desiderio, si dispone un adeguamento della volontà che non è totale né immediato, ma, nutrito dall’attesa di corrispondere all’amato, contribuisce ad avvicinare i due in un unico, condiviso intento.
La consolazione dello spirito
La ricezione dello Spirito Santo presuppone la fede pasquale, perché si innesta in una fede che è trinitaria, come traspare già dalle modalità di questo invio («io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre»). Modalità che rimanda ad una comunione, di intenti oltre che d’azione, senza la quale non è possibile comprensione. Del resto, è conquista dell’ermeneutica contemporanea, con Gadamer, la necessità di un punto in comune (fusione degli orizzonti4) tra l’oggetto ed il soggetto, senza il quale non è possibile trovare una congiunzione (perché comporterebbe la totale estraneità tra i due).
Una promessa vivente
«Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete»(Gv 14,19)
Forse aveva ragione Nietzsche5, ma solo nell’evidenziare un rischio di credibilità, non nella descrizione del cristianesimo in sé. Perché nel brano di vangelo giovanneo in cui abbiamo la “promessa dello Spirito” abbiamo l’ennesimo esempio di una concezione estremamente vitalistica, ben lungi da una sorta di “aurea di rassegnazione”, che alle volte trapela – al contrario – dai nostri discorsi, quando non dalle nostre azioni. Fermo restando che il cristianesimo non è (non può ridursi) a una “performance morale”, è pur vero che la questione della credibilità ci tocca in modo cocente e le parole di Cristo ci interrogano. Lui è vivo. Ma noi lo trattiamo davvero come tale, oppure, per noi, è come se fosse una sorta di reliquia, proveniente dal passato, che ci ha lasciato qualche valore di positivo a cui parlare?
Come i Dodici… anche noi!
Non è facile superare lo scoglio di un uomo che muore-risorge nel giro di tre giorni. Non è facile per noi, che affrontiamo il problema con il distacco temporale della storia, ma non lo è stato neppure per chi, come i Dodici, lo ha vissuto, senza possibilità di sottrarsi, in presa diretta. Solo gli eventi post pasquali hanno consentito di legare gli avvenimenti vissuti in prima persona alle Scritture, vedendo il filo rosso che faceva di quel lembo di terra galilaico il fulcro della storia dell’umanità.
E, tra questi eventi postpasquali, c’è anche la misteriosa “discesa dello Spirito Santo”, al quale è bene rivolgersi, con familiarità, affinché, anche a noi, chiarisca le idee, ricordando le (vere) parole di Cristo.
Rif. Vangelo festivo ambrosiano, nella solennità di Pentecoste:
Gv 14, 15-20 ✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi».
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1 Rm 8,26
2 Pur non essendo certo, storicamente, per nessuno dei quattro evangelisti, l’identificazione con un autore preciso (si parla, in genere, di viri apostolici per indicarli come appartenenti alla cerchia di quelli da loro conosciuti), volendo assumere l’interpretazione tradizionale, Giovanni è l’unico a far parte del gruppo dei Dodici.
3 cfr. 1Gv 3,18-21
4 GADAMER, Verità e metodo
5 Rif. NIETZSCHE, L’essenza del cristianesimo
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