Dietro ad alcune espressioni rispolverate di fronte ad ogni episodio di cronaca emerge, livida, un’ingenuità arresa di fronte al Male.
Ci sono ancora troppi stereotipi da demolire, per poter fronteggiare efficacemente il Nemico.
Quasi a farlo apposta, ogni volta che la cronaca reclama il proprio spazio sulle prime pagine, i media intensificano le proprie indagini parallele, scavando nelle vite dei protagonisti.
Si sprecano reportage, speciali, approfondimenti, interviste esclusive, domande ai familiari di vittime e carnefice (spesso, si tratta di cerchi concentrici, specie quando abbiamo a che fare con stragi in famiglia, per cui il fautore della strage è causa per i familiari del doppio dolore: quello di essere arrestato e quello di aver provocato la morte dei propri cari). Di più; spesso la travagliata scoperta porta alla luce una verità problematica: l’assassino conferma di voler bene a chi ha ucciso.
Salvo poi arrivare ad una stupita conclusione (quasi sempre, la stessa!), che si distorce in espressioni malcelatamente compiaciute: «Era noto a tutti», «era ben conosciuto», «aveva una bella famiglia», «su facebook scriveva tante belle cose sui nonni».
Lorenzo è l’ultimo esempio, in ordine cronologico, ma temo (non lo spero, sia chiaro!) che perderà ben presto il proprio primato in favore di qualcun altro. No, non intendo fare l’uccellaccio del malaugurio; ma, dacché ha messo piede sulla terra, sono millenni che l’uomo si cimenta con successo nel dare il peggio di sé. E, nonostante il lungo tempo trascorso, pur non essendo granché fantasioso, il Male continua ad esercitare il proprio oscuro fascino e fare più rumore del Bene, che – pure! – cresce, silenzioso, tenace tra i meandri meno noti di una variegata umanità alla ricerca di se stessa.
Lo stupore di fronte a questo mette in luce, come un nervo scoperto, tutta l’impotenza di fronte alla rivelazione di quanto la violenza possa fare per distruggere ciò che si è accumulato solo con anni di paziente amore, dedizione, cura, sacrifici.
La violenza e l’ira divampano in un lampo. Nel giro di un fremito d’ali, tutto è distrutto.
Percepiamo per intero la fragilità del nostro essere creature. Possiamo distruggere, ma non siamo in grado di ricreare. A nulla può essere ridato la vita, dopo che gli è stata strappata. Non siamo in grado di ricostruire ciò che abbiamo distrutto. Non siamo creatori, solo fragili creature che, sottoposte alla fatica della vita, talvolta perdiamo la testa, compiamo quell’irreparabile che, dopo averlo compiuto, non vorremmo mai aver fatto. Ma tornare indietro non è possibile. Non è possibile girare la clessidra né riavvolgere il nastro della vita.
Nessun pentimento e neppure nessun perdono potrà mai ricostruire i corpi straziati e le vite strappate. Potrà ricostruire un cuore ferito, mettere insieme i pezzi di una vita distrutta, ridonare il coraggio d’amare. Ma l’oggetto d’amore dovrà essere diverso. O quanto meno, la sua forma. Perché il rispetto, la venerazione e l’affetto per i morti non possono essere in ogni caso quelli dei vivi. anche solo per il fatto che la concreta dimostrazione si fa differente.
Sì, certo, in questa vicenda si inserisce anche la droga. Qualsiasi forma di dipendenza è dannosa per l’uomo, ma in modo particolare lo sono quelle che ne intaccano al personalità. La dipendenza da cocaina è difficile da debellare. Ecco perché, nonostante pare che il ragazzo fosse all’interno di una famiglia che lo amava molto e che senz’altro stava facendo di tutto per aiutarlo, l’inevitabile è successo ugualmente. Ci sono mostri più grandi di noi, contro i quali è difficile combattere.
Storie come queste ci mettono dinanzi alla drammaticità dell’esperienza educativa. Non sempre è tutto rose e fiori, non sempre tutto è risolvibile. A volte, ci si ritrova a fronteggiare sfide spropositati e a dover raccontare di sconfitte e non di vittorie. Non è semplice per i ragazzi gestirlo, ma non lo è neppure per chi li affianca, provando a dar loro una mano.
Episodi come questo però si moltiplicano e ci lasciano sgomenti.
Ecco perché, tendiamo, istintivamente a stupirci di fronte ai dettagli che riguardano i carnefici. Pregiudizio e superficialità sono le armi di difesa di massa di fronte ai fatti di sangue, per illuderci che possano non riguardarci. Tutti quei dettagli che ci ricordano la loro umanità ci sono ostili, perché li rendono vicini a noi, come noi.
Vorremmo tanto avere la rassicurante certezza che nulla di tutto ciò potrà riguardare noi o i nostri cari. Vorremmo.
Vedere che il male si annida tra persone come noi ci sbatte in faccia la realtà: anche noi potremmo finire in prima pagina. Anche noi siamo come loro.
Tutti fragili. Tutti umanissimi figli di un unico Dio che ci ama tutti come un Padre.
L’unica nostra speranza di essere amati per come siamo, con tutto il nostro grave fardello di nonostante.
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