TRINIDAD color

Frequentavo le scuole medie. La festività del Natale era ormai alle porte e, sotto al piccolo alberello nell’angolo del salotto facevano bella mostra di sé una decina di regali, tutti belli impacchettati ed infiocchettati. Tranne uno. Me n’ero accorta per puro caso, passandoci accanto un pomeriggio di tranquilla solitudine. Probabilmente non era stato chiuso bene, perché un lembo di carta colorata era sollevato e lasciava intravedere l’interno. Il bigliettino sulla sommità portava giusto il mio nome, come resistere? Sbirciai, ma rimasi fortemente delusa. Non tanto per il regalo in sé – anzi, era qualcosa che desideravo da tempo – quanto perché mi resi conto che la gioia dell’attesa e dello scarto del regalo era appena andata in frantumi. Come potevo rimanere trepidante per una sorpresa che adesso non mi sembrava più tale?
In questa domenica appena trascorsa, la parola mistero, associata alla Trinità, è qualcosa che dovremo aver sentito almeno una decina di volte, se non di più.
Di primo impatto ci verrebbe da associare al mistero un certo che di segreto e inconfessabile, qualcosa di cui non si conosce quasi nulla, in grado di solleticare le teorie più fantasiose. Qualcosa da accettare così com’è, senza farci troppe domande, perché ci è precluso qualsiasi approfondimento e, anche se ci immergessimo in una marea di studi, non lo capiremmo comunque.
Se ve l’hanno spiegata così durante l’omelia, cambiate parrocchia.
Ma come, è un dogma di fede, c’entra la Rivelazione, lo si accetta e basta, direte voi.
No.
Talvolta l’essere umano è un Ufficio Complicazioni Affari Semplici in carne ed ossa. Mette divieti, strade a senso unico, impone limiti di velocità e di lentezza, come se il cammino di ognuno fosse uguale identico a quello di tutti gli altri. Nemmeno la Santissima Trinità riesce a svincolarsi da questa gabbia e spesso finisce per essere messa su un piedistallo così alto da diventare irraggiungibile e totalmente aliena dalle nostre vite. Alcuni confondono volutamente il mistero con l’enigma, dipingendo il divino in modo tale da scoraggiare qualsiasi palpito d’umano amore. Finiscono così per tramutare il sacrosanto timore di Dio in paura e diffidenza verso l’oggetto di fede.
Ok, ma cosa c’entra tutto questo con la storiella del Natale?
Rispondo che invece ci calza a pennello.
Vedete, nel cristianesimo il mistero di Dio Trinitario non si riduce ad un rompicapo irrisolvibile, non è una distanza che schiaccia e sminuisce, immobilizzandoci nella paura. Non è una domanda destinata a non avere mai nessuna risposta.
È invece un pacco regalo, un progetto preparato per noi fin dall’eternità (Romani 16,25 e Efesini 1,9).
È un dono e, proprio per sua stessa natura, non è fatto per essere custodito gelosamente, perché è stato consegnato all’umanità intera. Senza riserve né distinzioni. Fin dall’inizio dei tempi. La Seconda Persona, poi, in un luogo ed un tempo ben preciso della nostra storia, ha deciso di lasciare sollevato un lembo di quella carta variopinta, permettendoci di sbirciare, lasciandoci una incredibile e misericordiosa anticipazione.
Solo che, questa volta, non c’è spazio per nessuna delusione. La sorpresa rimane tale, nella sua sconfinata bellezza. E noi siamo qui, a chiederci con rinnovato stupore, ma davvero tutto questo è anche per me?
La Trinità non è “solo” un dogma: è innanzitutto un dono d’Amore verso tutto il creato, verso di noi, impacchettato in una triplice carta regalo. Che dite, lo scartiamo?

 

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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