Il prodigo è stato fortunato? Senza dubbio. La sua fortuna colossale consiste nel non aver incontrato sul cammino del ritorno il fratello maggiore.
La dissolutezza, i compagni di gozzoviglie, la carestia, i porci. La strada del prodigo è punteggiata da tutti questi pericoli.
Ma sono pericoli che costituiscono anche la sua salvezza. Sono spine che, a lungo andare, penetrano profondamente nella sua carne e gli fanno sentire la struggente nostalgia della casa paterna, gli spalancano dinnanzi la loro incapacità radicale ad appagare la sua ricerca e lo fanno uscire nella confessione liberatrice: «Io qui muoio di fame».
Il pericolo più grave, sulla sua strada, era dato dalla possibilità di incontrare il fratello maggiore, l’indefesso lavoratore, il buon cristiano. E il Padre deve aver trepidato per quella eventualità.
Chi ha toccato il fondo dell’abisso della degradazione può rimbalzare verso l’alto, verso l’aria aperta, verso la santità.
La “cattiva compagnia” è soltanto quella del Maggiore, del mediocre. Perché soltanto essa riesce a strozzare la nostalgia della Casa paterna.
Il prodigo, per arrivare in porto, ” non deve cadere in una cattiva compagnia, nella stantia ristrettezza di un ghetto cristiano. C’è una buona compagnia cristiana e ognuno può entrarvi come vero e sincero amico di Dio e dell’uomo: è la compagnia dei santi” (F. Heer).
Allorché il prodigo avrà trovato sulla soglia le braccia del Padre spalancate per accoglierlo, sarà già guarito.
Io, il Maggiore, mi credevo ricco. Ma il prodigo è ancora più ricco di me. È ricco di un cuore dilatato dalla sofferenza e da un’esperienza drammatica. È ricco perché ha scoperto nel perdono del Padre la dimensione del vero Amore.
«Era necessario far festa e rallegrarsi». Era necessario. Come a dire: era giusto.
E io, da principio, non comprendo. Mi ritiro in un angolo a mugugnare. Ma poi capisco che è triste «novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di penitenza». I giusti che non hanno bisogno di penitenza appartengono a una specie fossile.
È terribile non sentire il bisogno di fare penitenza. Vuol dire rifiutare di essere una creatura. Significa non conoscere mai l’ampiezza della misericordia di Dio.
E allora mi sento invadere dalla nostalgia di quell’abbraccio. Corro incontro al Padre e gli butto le braccia al collo.
– Perdonami di esserti stato fedele senza amore.
(don Alessandro Pronzato, Vangeli scomodi)
Buongiorno!