Nei giorni scorsi, abbiamo letto di un nuovo episodio che ci racconta di maestre violente, in un asilo di Varedo, in provincia di Monza e ci fa domandare se sia ancora possibile fidarsi di chi si prende cura dei più piccoli. A breve distanza, si sono poi succeduti due suicidi: il 3 aprile, Beatrice Inguì, 15 anni, si butta sotto un treno, nella stazione di Torino, probabilmente, perché vessata oltre misura dal bullismo di chi vedeva in lei solo il suo aspetto; nei giorni scorsi, a Napoli, invece, Giada De Filippo, venticinquenne, si getta da un terrazzo dell’università Federico II, nel giorno in cui aveva detto che avrebbe discusso la tesi di laurea in Farmacia (in realtà, pare non avesse dato alcun esame).
Bullismo, violenza, suicidi. Pare non ci sia pace, per le nostre scuole. A tutte le età.
È sempre difficile provare a dare una spiegazione a tutto ciò. Di fronte alla scelta di porre fine ad una vita ancora piena di possibilità, in particolar modo. Cosa può essere così forte da schiacciare la volontà di vivere, di provarci ancora, di rialzarsi, dopo una situazione di dolore, di sofferenza, di solitudine di insoddisfazione?
La grande tentazione è pensare che il vuoto di senso stiano, a poco a poco, ingoiando il mondo intero, togliendogli la linfa vitale che ci consenta di dargli un senso.
Poi, però, appare una notizia, annunciatrice di speranza e portatrice della buona novella che la “buona scuola” non cerca sponsor politici, ma, forse, aspetta solo insegnanti appassionati e libertà educativa.Quella di Noah, che, nella sua classe, è stato accolto con rispetto ed attenzione, da maestra e compagni, nonostante le sue crisi epilettiche avrebbero potuto rappresentare un problema od un ostacolo. Al contrario, è diventato uno spunto per responsabilizzare i bambini, farli sentire protagonisti e comprendere quale potesse essere il modo migliore di dare una mano al proprio compagno, qualora fosse stato in difficoltà.
Questo sia preso solo come esempio. Sono tanti i Noah nelle nostre classi, che aiutano i nostri bambini ad interrogarsi sulla diversità e a diventare migliori. Così come sono sicuramente più degli insegnanti che picchiano i bambini, quelli che – al contrario – li instradano sulla via del Bene, con coraggio, perseveranza, intransigenza ed alte aspettative. Perché non è vero che per farsi amare dai ragazzi bisogna rendere loro le cose più facili. “Pretendere” (naturalmente, quanto ciascuno è in grado di dare) è sintomo di amore vero, perché nutre la fiducia.
A sfogliare i giornali, tante volte, viene da vedere “tutto nero”, tanto prosegue, imperterrito, il dilagare del Male, che si fa strada con violenza, più ancora con furbizia, scaltrezza e cinismo. Forse, allora, potrebbe essere risolutivo, uscire di casa, fare due passi e guardarsi intorno. Per aprirsi alla possibilità dell’imprevisto. Per constatare che – alle volte – il bene è molto più vicino di quanto saremmo portati a pensare, a tutta prima.
Un foulard appeso a un albero, una coperta da passeggino sistemata su una cancellata, una grata sopra un basso cespuglio. A volte, la sbadataggine, evidenzia la diffusione dell’onestà. E incoraggia a non arrendersi!
«Padron Frodo, c’è del buono, a questo mondo!» è il mormorio di Sam nel Signore degli Anelli, che, con l’umiltà che lo contraddistingue instilla la speranza, nella ricerca di un senso al nostro andare, che, alle volte, pare quasi senza meta.
«Io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33) ci garantisce il Cristo Risorto, a perpetua memoria della capacità di salvezza dell’Amore, che infrange persino le barriere della morte e ci spalanca le porte della Vita. Quella vera!
Per un approfondimento:
Wired, Giada De Filippo e l’ossessione di una vita perfetta
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