gallo

Il trucco è diabolico, nel senso ch’è la specialità di Lucifero: farti credere che, per la scorciatoia, alla meta ci giungerai in tempo minore. Non t’avverte, Satana, che la strada più breve è anche quella più sconnessa: non sarebbe più demonio. E’ nota la sua arte, anche maledetta: i santi la bistrattano. Eppur pare sempre gagliarda: promette molto meno di Cristo (questo lo sanno tutti) ma lo fa in tempi molto più rapidi (a questo pochi resistono). In caso d’infortunio, poi, mica risponderà il serpente: sedotti-e-abbandonati è il suo biglietto da visita.
Prendete, a mò di esempio, la pagina del Vangelo che fa da ouverture alla Settimana Santa: la narrazione della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo scritta dall’evangelista Luca (liturgia della Domenica delle Palme). Materia per pittori, squarci d’arte, vita. A colpire, però, è la lunghezza della storia proclamata: nessuna pagina, nell’arco di tutto l’anno liturgico, è così lunga da fare da test alla sopportazione di chi legge, di chi ascolta. Satana lo sa molto bene, li conosce a menadito gli uomini: la fretta è il suo punto-di-forza. Sarà per questo che la liturgia – nel lezionario come nel foglietto sui banchi – subito all’inizio mette le cose in chiaro: scegliere tra “forma breve” o “forma lunga” del racconto. La liturgia è una mamma rispettosa: non si può inseguire la Bellezza senza possedere anche la libertà d’abbandonarla. A maggior ragione se quella Bellezza, per diventare eterna, dovrà subire l’onta della sfigurazione, della maledizione: è una bellezza crocifissa, scandalosa, impossibile da imporre quella cristiana. O s’accetta di fare i conti col suo potere d’attrazione, oppure sarebbe bellezza pagana, una delle tante. Inseguirla, invece, ha un prezzo che nessuna bellezza ha mai sopportato: la saliva di un bacio, la salita al Calvario, il martello coi chiodi, la pietà ingobbita di Maria. A Pasqua si giunge solo da questa strada, strada senza scorciatoie: ai piedi del Calvario nessun evangelista parla di circonvallazioni. L’unica segnaletica è Veronica, sono le donne: un velo, quasi uno straccio per asciugarsi le lacrime. Al Calvario, però, si dovrà salire. Di quella sofferenza disumana, a Cristo non fu concessa una forma-breve: ne subì tutt’intero l’affronto, ne pianse tutto l’aceto.
Solo un coccodrillo goffo come Satana può proporre alle creature una forma-breve della Passione, far leggere la forma-breve di quel Vangelo: la sofferenza, qualsiasi nome abbia, è sempre e solo in forma-lunga. Nulla è più temerario, nell’intera storia della salvezza, del tagliare pezzi di Vangelo: il male, anche quello più vigliacco, da Cristo fu affrontato in tutta la sua perfidia, senza considerare «un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio» (Fl 2,6). Tradimento compreso. Forse è per questo che, leggendo la forma-breve (del racconto scritto da Luca) si taglia la narrazione del canto del gallo. Il suo chicchirichì è l’eterna angoscia di Satana, è la voce che smaschera la sua identità di truffatore. Quando il gallo canta, la memoria di Pietro si scioglie – «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte» (Gv 13,38) – e scoppia a singhiozzare: aveva ragione l’Amico tradito, non il Lucifero seguito. Un primo-annuncio della Pasqua, in piena tempesta: Cristo t’amerà anche quando, ingrato della sua premura, basteranno le chiacchiere da cortile di una serva per farti cadere. Il gallo canta, Pietro rinnega, l’Amico resiste nell’amicizia: nonostante tutto. Nessuno tocchi il gallo: chi lo tocca, zittendolo, si ricordi d’averlo zittito.
Come di chi, in questa domenica, nelle chiese s’azzarderà di leggere la forma-breve della Passione. Liberi di farlo: la liturgia, a bocce ferme, lo prevede come possibilità. Loro signori, però, in caso d’incidente ricordino d’averla letta in forma-breve: se ne assumano, almeno, la responsabilità. Cristo, da parte sua, s’è assunto la responsabilità solo di quella lunga. Circa i trucchi, le scorciatoie, le diavolerie, faccia come si crede: nessuno obbliga ad andar dietro a Cristo.

(da Il Sussidiario, 19 marzo 2016)


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