La Chiesa ne ha attestato le virtù eroiche, vivisezionato l’ortodossia della dottrina, appurato i miracoli avvenuti. Lo scorrere lento dei secoli e la devozione popolare, invece, hanno svelato quella creatività fedele che fece del suo cristianesimo una provocazione destinata a sfidare lo scorrere del tempo. Dentro un’epoca che corre il rischio di giocare al cristianesimo fino a far diventare il discorso di fede “un’orrenda chiacchiera” – come direbbe il filosofo Kierkegaard – la storia di Antonio ci mostra la forza dei sogni quando sono sostenuti da una vita di fede degna dell’origine da cui scaturisce: quei sogni che non sono l’evasione dalla realtà, ma la possibilità certa di trasformare la realtà dal di dentro. Mistici e atei, fedeli e cercatori, anziani e infanti s’incolonnano muti e attenti verso il corpo di un uomo vissuto distante mille miglia dalla globalizzazione, dall’era del virtuale e della cybernetica, dal rischio ecologico e della sfida per la sopravvivenza. Eppure il suo è un linguaggio – fatto di gesti, parole e azioni – che tutt’oggi infiamma il cuore del popolo che cerca, magari a tentoni, uno scopo verso il quale indirizzare la sua esistenza.
Le storie dei santi – di cui Antonio è uno dei rappresentanti – sono vivaci variazioni di ritmo dentro la monotonia di un tempo che vive d’abitudine, di contraffazione e di aridi concetti. Apparentemente scabrosi e inavvicinabili, non cercano la stravaganza ad ogni costo ma tengono fisso nell’anima il desiderio di creare uno stile cristiano che sia bello, buono e felice. A costi di far saltare in aria l’unica esistenza a loro affidata. Perchè inseguire la santità è un po’ come partecipare all’arte del minatore: si scava dentro di se’, si attinge fin nelle profondità, si cerca il fondo del barile per liberare quella voce divina messa nell’animo di ognuno. Il rischio è quello di farsi crollare addosso tutto: ma all’orizzonte abita la possibilità di far brillare una luce capace di additare a chi segue la strada da percorrere. E il rischio vale la promessa intravista nel sogno.
Ecco perchè i santi soffrono di claustrofobia: nati per invadere i mercati e le piazze, per disturbare negli uffici e nei palazzi, per arringare chiese e case spesso e volentieri si trovano schiacciati dentro le nicchie, imprigionati nei capitelli, incastonati nella penombra delle grandi cattedrali. L’uomo pensa di tributare loro il massimo dei fasti: in realtà loro sono nati per correre, perchè sanno che il tempo è vicino e che l’urgenza della conversione è pressante. Non possono dormire al profumo delle rose e dei gigli perchè chi dorme s’accontenta della realtà: loro invece la realtà la devono soverchiare, accendere, indirizzare alla Croce che salva. A chi è fuggiasco tra le pagine del Vangelo la loro vita somiglia ad una bizzarria estrema: eppure dentro quello squilibrio sta custodita la giusta misura dell’Amore a cui spinge la Parola dell’Eterno. Quasi condannati ad usare la loro fantasia per immaginare e abitare un mondo il più vicino possibile a quello intravisto nei lunghi digiuni e pensieri: un mondo dove l’originalità è un comandamento e non una vergogna, in cui la creatività e segno di fedeltà alla Creazione, in cui il peccatore prima di diventare santo s’imbatte nell’esperienza dell’innamoramento. E scoprire, in calce ad una vita, che la santità altro non è che un innamoramento folle spinto all’estremo.
Per inseguire un sogno con il quale Dio tiene sveglia un’anima, magari condannata all’indifferenza del suo tempo.
Ma questo è il prezzo che si deve pagare per essere credenti creativi.