2317681-aaaaaaaaaaaaaaaaaaa“Questa per me è la santità” il commento della madre, dopo aver fatto un breve e succinto resoconto della vita della figlia dottoressa, travolta e uccisa da un’auto insieme con l’uomo indiano che stava soccorrendo, rimasto ferito in una rissa tra stranieri.
Del resto, come non ricordare almeno tre nomi nella folta schiera di dottori santi (non perché teologi ma perché “medici”)? San Riccardo Pampuri, Santa Gianna Beretta Molla e San Giuseppe Moscati, solo per citarne alcuni tra i più famosi ed amati. Fulgidi esempi di vita e incarnazione di valori che non sono racchiusi nella cerchia di quelli riuconosciuti dai credenti in Cristo, pur trovando in lui la radice e la loro motivazione più profonda.
Vorrei partire facendo un inchino alla nobiltà di sentimenti di una madre che, con encomiabile lucidità, arriva a dire “lo perdono, perché Gesù Cristo ci insegna che è l’unica cosa possibile” (e in questa frase è possibile leggere la fede dei Semplici, capaci di affidarsi a chi merita fiducia, anche quando è impegnativo concederla e ancora più macchinoso dar concretezza alle pearole,ai pensieri e alle emozioni), salvo poi aggiungere in un impeto di sincerità “però un po’ gliene voglio, perché mia figlia non tornerà più” (lungi dall’essere un’incoerenza, si tratta dell’amara constatazione di una realtà delle cose che resta dura da affrontare, anche con l’ausilio e il supporto della fede in un Disegno di Dio che ci sovrasta e non sempre – o, meglio, quasi mai) riusciamo a comprendere nella sua profonda alterità di vedute rispetto a quella che ci è consentita.

Il racconto non ha però il sapore dell’eroismo forzoso che gli si vuole imporre. Non abbiamo di fronte un’eroina, ma una persona normale, un medico coscienzioso, che credeva in quel che faceva e amava la sua professione. Un signor medico, insomma, come forse ci auguriamo di trovare sempre sulla nostra strada, ogni qualvolta ne potremo avere bisogno: perché incontrare persone così dà la garanziache non lascerà mai nulla d’intentato, ma farà il possibile e l’impossibile per salvare una vita, strappandola al giogo della malattia e del dolore (forse gli spauracchi più prepotenti e temuti, nelle nostre vite).
Essere medici è una vocazione, quasi come un sacramento. Almeno, se lo si intende in modo serio Consente di farsi partecipi dell’opera dle Creatore e di prendersi cura delle sue creature.
Significa penetrare il Mistero, esssendone penetrati: perché penetrare il Mistero non significa raggiungerne l’acme (vorrebbe dire conoscerlo nella totalità), ma viverne ogni giorno l’intensità, intuendone appena l’ampiezza e la profondità. Convivere con il dolore e la malattia, affrontare la preoccupazione e la malattia ogni giorno; assieme all’altra faccia della medaglia: la gioia div edere venire alla luce una nuova vita, il recupero della salute, la guarigione. Perché, in un lavoro come questo, gli opposti si mescolano in un mix impegnativo che ben pochi pochi hanno il coraggio, la tempra o la predisposizione a portare sulle proprie spalle.
Chi sceglie di essere medico sceglie questo: commoventi ringraziamenti in caso di successo, querele e citazioni a giudizio in caso di esito negativo, anche nel caso in cui non si tratti di negligenza umana, ma semplicemente del destino ineluttabile dell’uomo: la morte chiude l’esistenza terrena dell’uomo e non è possibile eliminare questo passaggio, che per i credenti spalanca la porta alla Vita Eterna. È così da sempre e, pur ritenendo tutta la mia fiducia nella scienza e nella ricerca, credo che non sia possibile cambiare l’essenza dell’uomo: il rapporto con la morte non sarà forse mai sereno, ma solo imparare a conviverci ed accettarla potrà aumentare la nostra serenità: far finta che non esista o non pensarci renderà solo più infausto e doloroso il nostro incontro con lei (che avverrà sempre troppo presto, quando non ce lo saremmo mai aspettati).
Tuttavia, in questo episodio di cronaca qualcosa non torna. No, il problema non è eleonora. Non è stata eroica, lei. Lei ha solo adempiuto, fino in fondo, con commovente coraggio e stoica coerenza quello che era il suo compito e il suo posto. Il medico è tenuto a dare la vita, a prendersi cura di ogni malato, senza distinzioni economiche o sociali: s’impegna a far stare bene le persone e sa perfettamente di doversi fermare a soccorrere un ferito, in qualunque posto si trovi, con chiunque sia, qualunque possa essere la situazione. Questo significa, in pratica, “essere sempre in servizio”, senza possibilità di scansare alcun “impegno lavorativo”, tanta è la dedizione da dedicare ad un lavoro tramite il quale è possibile salvare una vita o toglierla.
Perché questo è quanto specificamente viene giurato (giuramento d’Ippocrate), nel momento in cui la scelta di essere medici diventa definitiva.
Persone come lei, che hanno dato la vita come Cristo in croce, sono la gloria dell’albo dei medici: la sua stessa esistenza è un “cammeo” che impreziosisce per sempre l’esperienza di vita di chi ha potuto incontrarle.
La vera domanda è piuttosto come sia possibile che ci siano “medici della morte”, quando il solo accostare questi due termini costituisce uno scontro insanabile con la professione di chi si dovrebbe battere con tutto se stesso, fino a farne la propria ragione di vita, affinché tutti possano avere la miglior qualità di vita e di salute possibile, compatibilmente con la loro specifica condizione.
Eleonora Cantamessa è un esempio per tutti: rapprersenta non solo la dedizione al proprio lavoro, ma anche quell’amore per la vita umana che, solo, può spingere a dedicarsi anima e corpo a chi è ferito, fragile, debole, solo. Fino a “dimenticarsi” di se stessi, mettendosi in pericolo e rischiando la propria vita (a volte, come nel suo caso, donandola), pur di rispondere alla chiamata di un uomo che aveva bisogno e che rappresentava, in se stesso, un richiamo muto a cui non era possibile procrastinare o negare risposta. L’Amore urge risposte. E, alle volte, queste risposte sono oltremodo impegnative: non è mai possibile amare senza impegnarsi. L’amore esige la verità di una dedizione integrale ed è capace persino di oltrepassare la morte, come accade in questa bella storia. Perché, nonostante tutto il dolore e la morte di cui è intrisa, non può che essere una bella storia quella in cui la madre di Eleonora, non appena ha saputo che l’altra vittima era padre di 4 figli ancora bambini, si è subito detta disponibile ad aiutare quella famiglia sconosciuta, in nome dell’amore della ginecologa per i bambini.


Fonti, per comprendere e approfondire:

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