La pedofilia: cos’è e come si manifesta
I più piccoli, i più indifesi. Quelli di cui tradiamo la fiducia, quelli che deludiamo. Quelli che si stupiscono, con la loro innata capacità profetica e comprensione profonda, capace di andare oltre i nostri abituali pregiudizi. Una risorsa impagabile per l’umanità: i nostri bambini, i nostri figli. Nostri perché nessun figlio appartiene solo a mamma e papà, perché irradia la propria ricchezza a chiunque li incontri. Eppure nostri non con quel senso di possesso di cui spesso è caricato l’aggettivo possessivo: per comprenderne il senso, andrebbe svuotato di quel significato. Perché i bambini sono anche totalmente altro rispetto a ciò che li circonda, rispetto agli adulti; non sono mai totalmente comprensibili né – a maggior ragione – sono assimilabili ai genitori. Hanno la capacità di sognare e un’identità profondamente unica che li contraddistingue gli uni dagli altri, in modo così eclatante che viene da domandarsi come sia possibile che esistano genitori che pensino – anche solo pensino! – di poter appiccicare ai figli sogni e desideri che non appartengono loro, ma che sono in realtà la proiezione di genitoriali frustrazioni.
Fa inorridire (giustamente) lo scandalo della pedofilia; purtroppo, però, non è questo l’unico abuso che i minori possono subire. Sfato un altro luogo comune, che ormai (spero) non sia più così sorprendente – non che tale notizia sia un sollievo, ma sarebbe un sollievo sapere che le notizie stanno iniziando a circolare in modo corretto –: la maggioranza degli abusi non avviene con adescamenti ad hoc, ad opera dei famigerati “orchi” sconosciuti, acquattati chissà dove in attese dele vittime designate. Quando non sono familiari stretti, spesso si tratta di persone molto ben conosciute non solo dal bambino, ma anche dalla famiglia stessa: soggetti che fanno, insomma, pienamente parte della cerchia di conoscenze abituali e fidate. Non solo; è giusto far cadere un altro tabù: la pedofilia non è solo un reato (crimine e abominio) al maschile, ma ne sono protagoniste anche le donne. Statisticamente sono in numero meno rilevante, tuttavia sono presenti anch’esse (anche se questi ragionamenti fanno un po’ specie: è pazzesco “consolarsi” al vedere una cifra “inferiore” rispetto a un’altra, quando fa rabbrividire l’azione in sé, da chiunque sia compiuta, fosse anche una sola persona sull’intera faccia della terra!).
A questo punto, però, prima di procedere oltre, trovo doveroso e fondamentale fornire qualche preziosa precisazione di ciò di cui stiamo parlando, per evitare ogni possibile fraintendimento o mancanza di chiarezza.
Il termine pedofilia deriva dal greco pais, paidos (bambino) e philìa (amicizia, affetto) e sta a significare letteralmente amore per i bambini. Testualmente la parola pedofilia potrebbe perciò indicare e designare una predisposizione naturale dell’adulto verso il fanciullo o intendersi come forma educativa o pedagogica. Esiste, però, un confine sottilissimo tra le intenzioni delle persone e i loro comportamenti. Attenzioni che in apparenza sembrano dettate da amore e dedizione, possono in realtà mascherare, infatti, un’inquietante perversione.
Nel DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders: Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) ossia il testo di riferimento per psicologi e psichiatri in cui sono classificate, indicate a spiegare tutte le malattie mentali, la pedofilia rientra nella categoria dei disturbi sessuali e dell’identità di genere, in particolare nel paragrafo delle Parafilie ed indica l’attività sessuale con bambini prepuberi, generalmente di 13 anni o più piccoli. Il soggetto pedofilo deve avere almeno 16 anni e almeno 5 anni in più dei bambini che costituiscono, per lui o lei, l’oggetto sessuale preferenziale, o unico.
Statisticamente la pedofilia insorge nell’adolescenza, è solitamente cronica ed occorre che il sintomo persista in modo continuativo per almeno 6 mesi per considerarla tale. Non si considera pedofilia il caso di soggetti tardo-adolescenti che si intrattengono in rapporti con bambini di 12-13 anni, né sono da considerare pedofili i soggetti adulti attratti principalmente da persone con età pari o superiore ai 12 anni circa, purché abbiano già raggiunto lo sviluppo puberale: l’attrazione per i teenagers è definita con i termini poco usati di efebofilia e ninfofilia1
Nella pratica clinica, si scopre che molti pedofili soffrono di una patologia narcisistica dei carattere, ivi comprese delle varianti psicopatiche del disturbo narcisistico di personalità; l’attività sessuale con bambini prepuberi può puntellare la fragile stima di sé del pedofilo. In maniera simile, molti individui con questa perversione scelgono delle professioni nelle quali possono interagire con bambini perché le risposte idealizzanti dei bambini li aiutano a mantenere la loro immagine positiva di se stessi. D’altra parte, il pedofilo spesso idealizza questi bambini; l’attività sessuale con loro comporta pertanto la fantasia inconscia di fusione con un oggetto ideale o di ristrutturazione di un Sé giovane, idealizzato. L’ansia riguardo all’invecchiamento e alla morte può essere tenuta a distanza attraverso l’attività sessuale con bambini. Quando l’attività è associata a un disturbo narcisistico di personalità con gravi tratti antisociali, come parte di un evidente struttura caratteriale psicopatica, le determinanti inconsce dei comportamento possono essere strettamente collegate alle dinamiche del sadismo. I pedofili sono frequentemente essi stessi delle vittime di abusi sessuali infantili e la conquista sessuale del bambino è lo strumento di vendetta, un senso di trionfo e di potere può accompagnare la loro trasformazione di un trauma passivo in una vittimizzazione perpetrata attivamente. (Gabbard, 1995). Kraemer, (1976) ritiene che le origini delle tendenze pedofile vadano ricercate nelle primissime interazioni madre-bambino, in quanto i bisogni narcisistici di auto-amore della madre potrebbero essere trasmessi al figlio in maniera eccessiva a causa del bisogno della madre di essere idealizzata dal figlio; ciò avrebbe come effetto la sostanziale dilazione del processo di separazione-individuazione del bambino.2
Purtroppo, alcuni episodi ormai accertati hanno accostato la Chiesa a questo atroce peccato. Condannare questo è più che scontato: oserei dire che è banale. Prima di tutto, giustizia, carità e onestà intellettuale impongono che si faccia chiarezza di fronte ad alcune accuse infondate. Joseph Ratzinger è accusato da più parti di aver taciuto e coperto episodi di pedofilia, forte della sua posizione di prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede; ma i fatti a cui ci si riferisce risalgono a prima del 2001, quando tale organo non aveva alcuna voce in capitolo al riguardo. Il cardinale fece, al contrario tutto ciò che era nelle sue possibilità, con fermezza, già molto tempo prima di diventare Papa, nel 1995, come ricorda Repubblica. Chi ha memoria elefantina ricorda i riferimenti alla “sporcizia” nella Chiesa, presente nel commento alla via Crucis preparato nel 2005 dall’allora (ancora per poco) cardinale Ratzinger: più d’uno ravvisò in quel passaggio proprio un riferimento allo scandalo della pedofilia, che a quel tempo già iniziava a trapelare. Già nel maggio 2005, a poco più di un mese dalla sua elezione al soglio di Pietro, appone la sua firma alla revoca di ogni facoltà sacerdotale a Gino Burresi: intervento per il quale si inizia a parlare di “coperture” vaticane che sono venute meno proprio con l’elezione di Benedetto XVI. Questo è solo il primo intervento di una lunga serie, non ultimo nei confronti di Marcial Maciel, fondatore dei legionari di Cristo; non solo, nel 2007, Benedetto XVI annulla il “quarto voto” dei Legionari di Cristo, quello che vietava ai Legionari di criticare l’operato o la persona del superiore e li obbligava ad avvisare il superiore, qualora un confratello lo avesse fatto. Ritengo, per amore di verità, necessaria un’ulteriore precisazione, per non screditare in modo subdolo una grande figura come quella di papa Karol. Se ha mancato di fermezza nel ricercare e punire, ove necessario, i colpevoli di abusi, rivelandosi (col senno di poi!) inefficace in questo ambito, ciò è da imputare alla sua esperienza del regime comunista: ha infatti avuto modo di verificare come, in parecchie occasioni (ma, del resto era un sistema particolarmente in auge anche presso gli antichi Greci o i Romani!) il sistema più facile ed efficiente per contrastare gli oppositori del regime fosse quello di screditarli agli occhi della gente, additandoli come pervertiti o comunque come persone dalla dubbia moralità3. Ecco perché Papa Giovanni Paolo II era generalmente molto restio nel credere a quelle voci che portavano accuse infamanti, finendo (purtroppo!) in molti casi per favorire il diffondersi del fumo di Satana all’interno della Chiesa. Al contrario, ora si sta iniziando ad agire, in modo più concreto (anche se con qualche tentennamento), ma la mia sensazione è che non sia possibile pensare che la Chiesa intervenga direttamente, perché la legge canonica mal si adatta a reati comuni, che poco hanno a che fare con il sacro.
Note
1Dal sito Prevenzione Pedofilia
2Dal sito Psychomedia
3 Come si legge nel sito Panorama: “Perché Giovanni Paolo II ha esitato a rimuovere Paetz nonostante le segnalazioni della sua amica Poltawska? Temeva che lo scandalo potesse allargarsi alla curia romana, dove aveva prestato servizio il vescovo? Forse questa può essere una ragione. Più in generale, Wojtyla diffidava di dossier e voci a carico dei sacerdoti, ricordando come il regime comunista fosse abituato a diffondere false informative e finte denunce per incastrare i preti (la «disinformacjia»)”.
Nota all’immagine – si tratta di un’immagine usata in una campagna pubblicitaria di Vogue che ha destato scalpore, appunto per le pose ammiccanti delle piccole modelle, come si può leggere sul blog di Luigi Bruschi, oppure su questo sito in lingua inglese.
Altre fonti, oltre a quelle precedentemente citate:
Massimiliano Frassi
Associazione Meter