E’ la parte di Cristo che più mi perseguita, quella sua intimità così amabile da volerla nascondere per pudore sotto il velo delle parabole e delle storie. Basta poco a Lui per parlare di Lui: una rete da pesca, un carro che torna dalla vendemmia, il limitare di una vigna da arare, il gioco silenzioso delle nuvole, il ragazzo con le sue lentiggini, il luccichio di una moneta o talvolta il semplice albeggiare dell’aurora o il sibilo di un vento che sale da Oriente. Per chi custodisce la chiarezza delle idee, ogni gesto è un microcosmo dentro cui leggerci il destino ultimo della Storia Grande.

vigneto

Stavolta il Rabbì di Nazareth sembra non giocarci con le parole. La storia racconta di una Vigna con un timbro di voce che solo una madre, forse sgomenta e rannicchiata ai suoi piedi, riuscirebbe a cogliere nella sua gravità. E’ sua la vigna – chissà se sarà la stessa della rivolta sindacale e della destinazione data ai due figli otto giorni fa -: sgombrata dai sassi, vangata, piantata di viti, una torre a custodia. Pure un tino appena là sull’angolo. Così rigogliosa e fruttuosa da scatenare il geloso appetito dei mezzadri chiamati a lavorarla e debitori di un affitto da versare del quale non se ne capacitano. Prima uno, poi l’altro, infine Lui, l’erede ultimo di quel piccolo podere imperiale: “Costui è l’erede, uccidiamolo”. Chissà se almeno sul luogo di quel delitto avranno poi trovato il coraggio di piantare una Croce: a memoria del loro agire e come anticipo di una Storia già scritta. Ci fosse una Croce – magari con due tralci annodati tra loro coi pampini di vite – potrebbe diventare mèta di pellegrinaggi perché tomba di profeti dal destino spinoso: gridare quando tutti tacciono, piangere quando tutti ridono, attendere rovina quando s’innalza il coro “pace e sicurezza” (1 Ts 5,3).

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
(Dal Vangelo di Matteo cap. 21 vv 33-43)

Hanno messo le mani sul Figlio del Padrone: “Via tutti, mi riprendo la mia Vigna”. Non esistono i sei mesi di preavviso e nemmeno una cauzione dalla quale svincolarsi: quelle sono le leggi delle terre dell’uomo. Il postino del paese, in via del tutto informale, racconta d’aver sentito un lamento uscire da quelle bocche senza più grappoli da succhiare: “C’ha ridotti sul lastrico, è questa la carità cristiana di cui parla?” Eggià: il troppo amore a volte obbliga all’impopolarità della scelta. E’ il giorno di Gioele, il giorno in cui è necessario che le zappe diventino spade e le lance si trasformino in falci (Gl 4,10). E’ lo stesso Padrone, anche se sembra aver mutato d’aspetto: fuori tutti!
Riazzerata la gestione si riparte: non sia mai che l’uomo riesca a scompigliare i piani di Dio, al massimo li complica quel tanto che basta per investire qualcun altro del mantello della profezia. “Vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato ad un popolo che lo farà fruttificare”. Cambio gestione. Chissà su quali mani nasconderà il contratto: forse a chi non lo conosce, non lo incensa e neppure magari lo nomina. Magari lo deporrà nelle mani entusiaste di un mercante, o nel vestito di una donna capace di far lievitare la pasta. Oppure sarà per l’uomo che confida nel granello di senapa. Se all’uno o all’altro non conta così tanto: perchè in qualunque di quelle mani la Vigna dovrà sembrare una cosa immensa e gloriosa. Sarà ancora la Vigna comperata, sgombrata, piantata: “La pietra che i costruttori hanno scartata è divenuta testata d’angolo”. Cambio gestione e riparto da zero.

Tradotta nel linguaggio del nostro tempo, l’affermazione potrebbe suonare più o meno così: agnostici, che a motivo della questione su Dio non trovano pace; persone che soffrono a causa dei nostri peccati e hanno desiderio di un cuore puro, sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli “di routine”, che nella Chiesa vedono ormai soltanto l’apparato, senza che il loro cuore sia toccato dalla fede. (Omelia di Benedetto XVI in occasione del Viaggio Apostolico in Germania, 25 settembre 2011)

Forse non se l’aspettavano: “non esistono mezzadri migliori di noi”. Forse non me l’aspettavo. Nemmeno il Faraone dell’Egitto s’aspettava dieci sberle così precise. Eppure il Padrone deve intervenire, magari con un gesto forte, improvviso, risoluto. Perché la Vigna non è tua e nemmeno mia: siamo semplici mezzadri depositari di un contratto firmato sulla Parola. Ci sono parabole e parabole; come anche vignaioli e vignaioli. Eppure questa, udita in presa diretta, dev’essere di un’ingombrante lucentezza.

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