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Piste per una riflessione oltre l’emotività

È stata una notizia che ci ha irrimediabilmente scosso, com’è inevitabile. Un bambino piccolo, di 6 anni, cade giù dalla tromba delle scale, dopo essere andato al bagno, venerdì della scorsa settimana, in orario scolastico e, dopo cinque giorni in coma, muore.
Potrebbe essere un figlio, un nipote, un alunno, un bambino che ci è affidato, anche solo temporaneamente in custodia. Invece che una scuola elementare, avrebbe potuto essere una ludoteca, un oratorio, un centro estivo, un campo sportivo. È normale sentirsi coinvolti. Ogni bambino che cresce è – dovrebbe essere – speranza di una comunità, per l’uomo che potrà diventare un domani.
Proprio per questo, però, è opportuno – e doveroso – accantonare per un momento l’emotività e ragionare in modo lucido su un argomento tanto importante.

Ovunque vi siano bambini, c’è una regola non scritta che qualunque educatore deve tenere sempre ben presente: l’imprevedibilità è di casa. Per quanto uno possa avere studiato, per quanto la situazione ed i possibili imprevisti possano essere stati ventilati, per quanto la sorveglianza sia stata predisposta, quando ci sono dei bambini, l’inatteso – che sia una sorpresa bella oppure un incidente di percorso, dai più buffo al più drammatico – è sempre dietro l’angolo.

Per quanto riguarda, poi, la scuola, vi sono regole precise, per cui non è solo necessario, ma doveroso assicurare vigilanza costante sui minori che sono affidati all’istituto, per tutto il tempo nel quale si trovano in quel luogo.
Ecco perché è inevitabile si proceda – d’ufficio – con denuncia per omessa sorveglianza e, dal momento che il bambino è deceduto, per omicidio colposo, nei confronti della bidella, in quel moemnto responsabile dell’incolumità del piccolo. Il bimbo, lasciata la classe, ha abbandonato la responsabilità dell’insegnante, ma, permanendo sotto la tutela della scuola, è passato sotto la responsabilità della bidella responsabile del piano, che, però, avendo dovuto accompagnare altri bambini in bagno, ha lasciato solo il piccolo, che, con ogni probabilità, in quegli attimi di distrazione, ne ha approfittato per spingersi oltre la balaustra, magari con l’ausilio della sedia con le rotelle della bidella, che era nei pressi. Questa la possibile dinamica dell’incidente, nonostante siano ancora in corso le indagini, per chiarire l’accaduto.
Personalmente, ad esempio, mi sono fortemente stupita dell’obbligo di andare in bagno accompagnati: io ricordo che, quando ero piccola io, anche all’asilo (era una struttura piccola, devo ammettere), spesso andavamo non accompagnati, anche se poi sopraggiungeva qualcuno a controllare; dopo l’asilo, tuttavia, ricordo perfettamente, di non essere mai stata accompagnata, tranne all’esame di Stato (ma questo, perché, a causa di un’emergenza, non ho aspettato il permesso e vi sono corsa, rincorsa, a mia volta, dall’insegnante!).
Riconosco, tuttavia, come tale regola di perpetua sorveglianza sui minori sia prudenziale e, dunque, comprensibile.Tanti, ora, lamentano la scarsità del personale e si domandano se non sia insufficiente, rispetto alle necessità di sorveglianza nella scuola e propongono, con faciloneria, che sia aumentato il personale scolastico. Difficile pensare che sia questa una soluzione effettiva, per motivi più profondi della praticabilità di una simile strada, sulla base delle risorse effettivamente disponibili al comparto scolastico.
Non è solo una questione economica (dove reperire i fondi per aumentare il numero dei bidelli?): la questione spazia verso ben altre prospettive. Non possiamo illuderci che questa possa essere – in ogni caso – la soluzione.

I bambini, nell’età compresa tra 5 e 9 anni, sono nell’età più pericolosa di sempre. Se hanno un normale grado di sviluppo psicomotorio, infatti, tendono ad avere un controllo da buono ad ottimo del proprio corpo, anche per i movimenti fini, ma una percezione pressoché nulla del pericolo connaturato alle loro azioni: sono in continua sperimentazione e verificano, via via, le conseguenze pratiche del proprio agire. Detto in altri termini: sono capaci di correre, saltare, arrampicarsi, fare acrobazia, con un’elasticità ed un’elasticità, che potranno affinare nel tempo, ma con una rapidità che, spesso, non avranno mai più e, con loro, ogni distrazione può rivelarsi fatale.
D’altro canto, però, va considerata anche l’altra prospettiva, quella di chi sorveglia. E non parlo solo della scuola. Nessuno può permettersi una sorveglianza continua ed ininterrotta. È la realtà che ci dice che non è possibile. Un bambino non si trova mai in rapporto 1 a 1 con chi lo educa: non è così a scuola, né nello sport, né in famiglia, se si ha almeno un fratello. Inoltre, ci sono limiti strutturali, anche nell’adulto: la soglia di attenzione elevata è intorno ai venti minuti: oltre, cala: è fisiologico, e richiede tempo riacquisire il livello di attenzione precedente. Chiunque, anche solo per gettare l’immondizia o andare a prendere un pacco in portineria, lascia solo un bambino in età scolare. Può succedere qualcosa in quei pochi secondi? Certamente sì, ma quale sarebbe la soluzione? Il braccialetto elettronico?
È un’iperbole, ovviamente, ma, significativa, di una prospettiva, che dovrebbe andare al di là del rispetto delle regole civili e di un regolamento scolastico, che, senza dubbio, prudenzialmente, è bene protegga i più piccoli. È alla libertà che dobbiamo educarli, non alla paura.
I pericoli sono innumerevoli: non potremo proteggerli da tutto e tutti: il nostro compito è educarli – gradatamente, s’intende – ad affrontare le sfide ed i pericoli che si faranno loro innanzi, accompagnandoli, passo passo, nelle loro conquiste.
È bene – in questa prospettiva – dunque, insegnare loro, ad identificare progressivamente, i pericoli, avvicinandoli con loro e spiegando loro perché un comportamento sia pericoloso e- eventualmente – quale strategia mettere in campo perché lo sia meno. Non sempre infatti è possibile evitare i pericoli. Ad esempio, attraversare una strada è pericoloso. Inizialmente, li si terrà per mano, vicini; mentre si attraverso, però, è bene iniziare a far notare loro che le strisce pedonali ed il coloro verde del semaforo sono una tutela per il pedone, che, però è ugualmente chiamato a guardare con attenzione a destra e a sinistra, per verificare l’arrivo di veicoli. Ogni altra soluzione è impraticabile: non possiamo non attraversare la strada, né possiamo pensare di dar loro sempre la mano: a poco a poco, allenteremo la mano, aumenteremo la distanza, li guarderemo attraversare di lontano, per poi dir loro “vai”. Perché questo è lo scopo dell’educazione: creare uomini liberi.

L’educazione non è mai priva di rischi, ma non per questo possiamo illuderci che ridurre la libertà, possa ridurli.
Ho potuto assistere ad un esempio concreto, anche se sicuramente meno drammatico, grazie a Dio, durante il grest di settembre (l’edizione settembrina “light” in quanto a numero di bambini, ridotti di circa un terzo rispetto al corrispettivo di giugno). Rappresenta la dimostrazione che non esiste un momento più o meno probabile. Coi bambini, l’imprevedibilità è sempre in agguato: nel caso specifico, proprio quando il numero di bambini era basso, il rapporto tra educatori e soggetti da educare favorevole, anzi, per di più, durante un momento tutto sommato abbastanza tranquillo (il momento della merenda, appena prima di portarli tutti quanti a teatro, per le premiazioni: insomma, non durante un gioco particolarmente vivace e scatenato), è bastato un attimo di distrazione perché un bambino cadesse da uno scivolo, slogandosi un braccio in maniera sufficientemente grave da richiedere l’arrivo di un’ambulanza. Erano presenti più di dieci adulti per un centinaio di bambini, oltre a una ventina di animatori adolescenti. Non è mai stato lasciato solo nessuno. Ogni zona era accuratamente presidiata. Non è bastato. Non basta mai.

La nostra sensazione di insicurezza si scontra con la realtà: non potremo mai proteggere i nostri bambini da ogni pericolo, piuttosto, la prospettiva in cui muoversi, a livello educativo, è radicalmente diversa, dal momento che siamo chiamati ad educarli a riconoscere i pericoli, così da renderli – progressivamente – sempre autonomi, così da far diventare la presenza adulta sempre meno indispensabile, nell’esuberante crescita del fanciullo.
È sempre doloroso scontrarsi con la dura realtà: alle volte, però diventa necessario. Non tutto è nelle nostre mani. La nostra vita ci è solo affidata, non ne siamo i padroni. A maggior ragione, ciò va detto di quelle che ci sono affidate, persino quelle che siamo chiamati ad educare, ma su cui non ci è consentito spadroneggiare e di fronte alla cui ineffabilità siamo costretti ad arrenderci.
Possiamo anche non sbagliare nulla, eppure risultare sconfitti. Perché la Vita supera sia la nostra comprensione, sia la nostra capacità di afferrarla.


La notizia:
Il Giorno
Il Corriere della Sera

Per approfondire:
Skytg24
Orizzontescuola
Affariitaliani

Fonte immagine:
Pexels

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