RepetitaFrancesco annuncia la misericordia e il popolo delle patrie galere gli accredita fiducia. Fu amore a prima vista, di quelli sinceri e fanciulleschi: uno sguardo, qualche parola e quel Papa scarno seppe mostrarsi affidabile e profondamente umano. Agli occhi rocamboleschi di Giuseppe, uno degli uomini più spietati di Cosa Nostra. Tra le parole del suo vocabolario, “misericordia” era sinonimo di debolezza, di viltà e di poco ardire. Anni e decenni di detenzione a raccontarsi storie di comodo, a darsi risposte che attutissero le mille inquietudini del cuore, risposte di plastica a domande d’acciaio. Dentro una cella per anni ha combattuto la battaglia tra la finzione e la giustizia, tra lui e lo Stato: il guadagno fu un pugno di polvere e di nullità. Di vero fallimento: il non sapersi dare delle risposte quando le domande sono urgenti. Un giorno avverte l’urto di una frase, l’eco di un invito: «Più il peccatore è grande più Dio freme per incontrarlo. Lasciatevi guardare da Cristo». Lasciarsi guardare: difficile per chi avverte fastidio ogni volta che si guarda allo specchio. L’invito di Francesco diventa l’agguato di Dio per Giuseppe. La prima volta in confessione: la più ardimentosa. Poi una seconda, una terza: nelle «crepe sta in agguato Dio» (Borges). Per mano di Francesco, Giuseppe ha intuito che in qualsiasi caos l’uomo abiti, quello sarà il punto di partenza e la strada per tornare a Lui.
Le strade di Zhang, suo dirimpettaio tra i grattacieli del carcere. Una storia giovane di violenza e d’intemperie: dalla Cina dei misteri all’Italia delle chimere, per approdare nell’inferno della detenzione. Mica lo conosceva Francesco, nemmeno il Cristo di Francesco: quello che «nessuna cella è così isolata da impedire a Dio che la raggiunga». Tanto meno gli agguati di quel Cielo, che accetta pure che ci si perda per poi trovarsi più frementi. Per Zhang la misericordia potrebbe essere stata la “solita cosa”, una parola e nulla di più. Quando, però, si è perso tutto e in mano si hanno solo le “solite cose”, ci si pensa due volte prima di gettarle al vento: sparite quelle, rimarrà il nulla. Lui a Francesco accredita fiducia, sin dal suo primo Angelus: «Sentire misericordia, questa parola cambia tutto. Questo Dio ha tanta pazienza». Inizia a cercarlo questo Dio: gli han detto che dopo l’incontro con Lui la vita non sarà più la stessa. Gli han parlato di quello Sguardo che acceca, che ama d’anticipo, che fa battere il cuore. L’altro giorno, sul sagrato di San Pietro, incontrando il Papa con gli amici di Comunione e Liberazione, il cerchio s’è chiuso. A Francesco Zhang ha fatto la confidenza che vale la sua vita: “Santità, fra un mese ricevo il Battesimo. Sono felice”. La misericordia è sempre preludio di nuovi viaggi.
Vivere ed esercitare il sacerdozio, dietro le sbarre, è semplicemente contemplare questi agguati inaspettati del Cielo. Per poi sognarli riversati su se stessi: la misericordia esercitata che diventa nostalgia. Il Papa lo sapeva anzitempo e per questo ha fatto della misericordia il suo architrave: i poveri, certe cose di Dio, le prendono sul serio. Perchè per tanti di loro pensare secondo Dio è pensare che c’è sempre ancora una possibilità a disposizione. Per certuni di loro le strade di galera diventano i sentieri di Dio.

(da Avvenire, 15 marzo 2015)

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