Intervista a John Milbank (anglicano), Professor in Religion, Politics and Ethics nell’Università di Nottingham e cofondatore del Radical Orthodoxy movement.
Da ilsussidiario.net, 20 settembre 2010
Professore, ieri c’è stata la cerimonia di beatificazione del Cardinale John Henry Newman. Com’è stato percepito questo evento da parte della gerarchia e dei fedeli della Chiesa anglicana?
Sia la gerarchia anglicana che una grande maggioranza dei fedeli sono lieti per la beatificazione di Newman e sono commossi dal riconoscimento del Papa di questo grande cristiano inglese, che ha così fortemente contribuito a formare l’attuale vita sia della Chiesa anglicana che di quella cattolica.
Senza Newman, la celebrazione settimanale dell’Eucaristia non sarebbe diventata usuale nelle parrocchie anglicane. La sua influenza ha aiutato a “cattolicizzare” la pratica anglicana in un modo decisivo, che i principali vescovi anglicani sono oggi coscienti di dover difendere contro le pressioni in favore di un falso populismo.
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, insieme ai grandi teologi della Scuola di Tubinga nell’800, egli è stato uno dei primi in epoca moderna a suggerire l’importanza della storia, dell’immaginazione, della cultura e dell’unione integrale tra mente e sentimento nell’elaborazione della verità cristiana.
Anche prescindendo dalla violenta opposizione degli ambienti laicisti e atei, si ha però la sensazione che gli anglicani abbiano timore di possibili “arruolamenti” di fedeli della Chiesa anglicana nella Chiesa di Roma. È corretta questa impressione?
No, non è così. Finora le indicazioni dicono che si tratta di numeri non grandi, ma anche se fossero considerevoli, la maggioranza degli anglicani è convinta, e spera, che l’emergere di una “Chiesa Uniate” anglicana aiuterebbe, non ostacolerebbe, un riavvicinamento tra le due confessioni.
Un elemento importante è che attualmente ci sono circa 600 candidati anglicani al sacerdozio (di cui circa la metà donne), dai quali potrà essere assicurato un adeguato sostegno alla vita delle nostre parrocchie, tra le più vivaci in Europa. Questo numero di aspiranti al sacerdozio è circa dieci volte quello della Chiesa cattolica nel Regno Unito, pur in presenza di un numero di laici circa uguale se non superiore. Comunque, anche il numero di vocazioni cattoliche sta recentemente aumentando nel Regno Unito.
Cosa possiamo apprendere oggi dalla vita e dall’insegnamento del Cardinal Newman?
Newman è un personaggio complesso e, a tratti, tormentato. In questo senso un santo della nostra epoca, dove non vi sono risposte semplici a certe questioni fondamentali. Penso che da lui possiamo imparare il vero significato della tradizione, e cioè che dobbiamo rispettare i doni di conoscenza e pratiche che ci arrivano dal passato e che abbiamo la responsabilità di trasmetterli in una forma autentica al futuro. Allo stesso tempo, possiamo anche imparare da Newman che una tradizione genuina si sviluppa per rimanere fedele a se stessa, così come gli stessi Vangeli sono una promessa che noi possiamo continuare incessantemente a trovare nel loro tesoro di sapienza cose che sono nuove, pur rimanendo al contempo antiche. È mia opinione che sia Papa Benedetto che l’Arcivescovo Rowan Williams (il Primate anglicano, ndr) abbiano in comune questa concezione della natura autentica della tradizione. Penso anche che condividano un altro insegnamento che possiamo trarre da Newman: che ogni ragione coinvolge la fede e una certa “sensibilità” per la verità, così come la fede è realmente una questione di rafforzamento della ragione dentro la luce, data per grazia, della fede.
Tutte le Chiese cristiane si trovano oggi a fronteggiare nemici comuni, quali il secolarismo e il relativismo, contro i quali questo Papa ha sempre preso forti posizioni. Quali sono le prospettive per un lavoro comune tra le Chiese anglicana e cattolica, sia sotto il profilo teologico che per la vita di tutti i giorni?
A questa domanda ha risposto molto bene Papa Benedetto nel suo primo discorso a Edimburgo, nel quale ha riconosciuto la storica missione cristiana delle corone inglesi e scozzesi e ha indicato come da qui è nata una tradizione unica di governo costituzionale che, alla fine, ha portato benefici universali. Insieme a più ampie influenze cristiane, ciò ha aiutato la nascita di una tradizione britannica di preoccupazione per la libertà e il benessere di ogni essere umano. Citando questa realtà storica, credo che il Papa stesse implicitamente dicendo che questa apertura globale britannica fa parte naturalmente del destino cattolico, il destino di una verità universale per tutti i popoli. È senza dubbio questa la portata storica del primo incontro ufficiale dalla Riforma, tra un Papa e un sovrano britannico sul suolo britannico.
Qualcosa che però non sembra essere stato sottolineato dai media.
Il fatto che ciò venga trascurato, in linea di massima, dai media inglesi è il segno della loro limitata prospettiva storica in confronto a quella di Benedetto XVI. Sono convinto che egli abbia ragione quando afferma che senza il fondamento cristiano la nostra tradizione di giustizia, libertà personali, capacità di associazione (e, si potrebbe aggiungere, il genio letterario) quasi certamente appassirebbero. Ha anche ragione nel dire che la fonte ultima della corruzione nazista è nel suo ateismo, un’affermazione che non pone in discussione le indubbie virtù personali di molti atei di oggi. Come cittadino britannico vorrei ringraziarlo per aver riconosciuto la parte avuta dal popolo di queste isole, allora in gran parte ancora cristiano, nello sconfiggere l’orrore pagano e nichilista del nazismo.
Il popolo inglese è ancora religioso come allora?
Nonostante la Gran Bretagna sia diventata oggi molto secolarizzata, vi sono forti segnali di un rinnovamento culturale e politico che ha sorgenti religiose. Questo è vero nel caso di molti degli attuali, seri artisti, scrittori e poeti, che verranno ricordati a lungo dopo che saranno dimenticati molti dei nomi ora di moda. Questo è vero anche per nuovi movimenti come i London Citizens, guidati ampiamente da chiese, sinagoghe e moschee. I cattolici sono in prima linea in questo movimento, basato soprattutto sulla dottrina sociale della Chiesa cattolica, ma anche gli anglicani sono largamente coinvolti. È davvero notevole come la migliore tradizione del pensiero sociale anglicano (che ha aiutato a dar forma a un particolare approccio britannico alle relazioni internazionali, in confronto a quello, per certi versi cinico, del “realismo” americano) sia congruente con la migliore tradizione del pensiero sociale cattolico. Entrambe le tradizioni concordano nel promuovere il primato della società civile e il ruolo delle “istituzioni intermedie”, sia all’interno che tra le nazioni, riducendo al contempo l’importanza sia della sovranità dello Stato-nazione, sia dell’affarismo economico.
Lei è uno dei fondatori del movimento Radical Orthodoxy. Da questo punto di vista, qual è il suo giudizio sulla visita del Papa?
Ho salutato questa visita come un nuovo passo sulla strada di una riunione di tutte le Chiese fondate sull’episcopato. E mi azzardo a dire che vedo una forte coerenza tra Radical Orthodoxy e la teologia del Papa: entrambe sottolineano l’unità di fede e ragione, il naturale desiderio verso il soprannaturale, l’importanza dell’eredità platonica per lo sviluppo del pensiero cristiano e la convinzione che solo un umanesimo cristiano può superare l’impulso verso un nichilismo amorale intrinseco al secolarismo.
In un certo senso, qui il tema riguarda l’infinito: superando il platonismo, il cristianesimo ha legittimato un infinito, apparentemente traumatizzante, di desiderio, perché sostiene che questo desiderio può essere compiuto e soddisfatto da un Dio infinito. Ma se si nega questo Dio, il genio dell’infinito può essere rimesso dentro la bottiglia del paganesimo. Di conseguenza, il post-cristiano non postula un umanesimo moderato di tipo ciceroniano, ma piuttosto l’abbraccio di Prometeo, disperato o demoniaco, dell’infinito come abisso del nulla.