Il rosso
della rivoluzione e della fortuna. Il giallo della luce, dell’imperatore e
della ricchezza. Una stella grande ad evocazione del Partito comunista e
quattro di ridotte dimensioni a memoria di operai, contadini, militari ed
intellettuali. Ne abbellisce il volto la Marcia dei volontari, l’inno ufficiale della
Repubblica di Cina. Una celebrazione di musiche, profumi e colori concepita
dagli scopritori della bussola, della polvere da sparo e dei caratteri di
stampa per dare il benvenuto alla manifestazione che nel suo grembo custodisce
la poesia di gesti atletici, il dramma di morti inspiegabili, la perplessità di
record stupefacenti. L’hanno intitolata "Un
mondo, un sogno" la cerimonia d’apertura. Riproducendo, nella storia della
seta, un cammino tragico e sublime: gli estremi della nascita e della morte. E
inanellando con il corpo danze, movimenti ed emozioni olimpiche. Valore e
bellezza di un corpo riscoperto solamente negli ultimi trent’anni. Corpo che ha
ridato loro la bellezza d’essere persone. Perché, al di là di tutto, sognano
con straordinaria aspettativa una Cina nuova.
Per
riscattarsi e svegliarsi da due secoli di disumane umiliazioni.
Ma Pechino
preoccupa gli sportivi per il clima ubriaco di smog. I politici per il dramma
degli umani diritti. Gli albergatori per il mancato riempimento degli hotel.
Gli appassionati per l’ombra minacciosa del doping. E pensare che lotteranno
con la sveglia nel cuore della notte, si separeranno da cuscini e materassi per
afferrarsi alla contestata bellezza della televisione e braccare la magia di
tre passi e un salto, di uno sprint veloce, di una fucilata verso il cielo. Di
una lacrima irrequieta ad annaffiare l’oro. Perché lo sport, nonostante tutto,
lambisce vette che la politica, la religione e gli ecumenismi più compositi mancano
pure nel sogno. Pure nei templi, più o meno sacri, troppe volte lo sport è esiliato.
O relegato alla condanna domenicale per competizioni che sbarrano il passo
all’entrata dell’elemosina. Quando pure il Paolo apostolo, a sfida terminata,
mise le mani nella bisaccia dell’atleta per frugare parole che pitturassero la snervante
bellezza della sua divina avventura: "Ho
combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la
fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice,
mi consegnerà in quel giorno" (2Cor 4,7-8). Tra la corsa e la corona il
percorso di ogni baco che diventa farfalla. Nella sfida della vita, della fede,
dello sport.
Cosa
nascerà dal nido d’Olympia? – si chiedeva il Cannavò poeta nelle pagine rosa
della Gazzetta. Un’aquila, una
rondine, un corvo o una bianca colomba ingannatrice? Azzardato anticiparlo.
Perché lo sport è genio, imprevedibilità e follia. Perché il medagliere
anticipato da Jacques Rogge, Presidente del CIO, probabilmente s’avvererà: 30 –
40 casi di doping. Perché un biglietto augurale atipico firmato da Al Qaeda è
pervenuto in Cina: "Attenti, cinesi.
Durante i giochi, il terrorismo colpirà". Non ci resta che sperare. E’ vero
che a sperare c’è il rischio della disperazione. E a tentare quello del
fallimento.
Ma se
ascolti l’uomo dell’osteria, pure a vivere c’è il rischio di morire.