La famiglia, centro del vivere, dell’agire e dell’amore umano è anche, potremmo dire da sempre, al centro del pensiero di Dio.
Amore biunivoco
San Paolo, così spesso frainteso, additato al giorno d’oggi come misogino e anacronistico, in realtà ha chiesto ai mariti di amare in modo profondo e non infantile e superficiale. Amare la moglie “come se stessi”, dice nel quinto capitolo della lettera agli Efesini[1];pochi versetti prima[2], arrivando ad invocare, per lui, la disponibilità ad amarla come Cristo ha amato (cioè: arrivando a dare la vita in modo cruento, quando gli è stato richiesto).
Non è quindi chiesto “meno” ai mariti, rispetto alle mogli. Il modello d’amore, per il cristiano è sempre Cristo, vero uomo e vero Dio. In ordine a lui, prende forma ogni amore umano, che chiede aiuto a Dio, per potersi elevare oltre l’umana reciprocità, per riscoprire, nel perdono che solo Dio può offrire quella nuova linfa capace di rinverdire anche le unioni coniugali più rinsecchite e logorate dal tempo.
Onore in gioco
L’Apostolo riprende poi il comandamento mosaico: “Onora il padre e la madre”. Forse, più ancora delle altre, pur senza rimpiangere una sorta di età dell’oro, la società attuale ha bisogno di legittimarlo, quest’onore, perché non è più scontato. E, senz’altro, tale necessità è anche spiegazione di come – in un certo senso – il rapporto genitori/figli non è così lineare come un tempo. Tra pareri di pedagogisti, psicologi e consigli non richiesti, spesso trovare la giusta modalità di rapportarsi tra genitore-amico e padre-padrone è quanto mai ardua. Il buon senso suggerisce, ad ambo le parti, empatia in abbondanza, un po’ di memoria dei tempi andati per i genitori e tanta pazienza da ambo le parti. Perché anche essere figli, in questa società accelerata non è sempre semplice.
Disciplina, senza esasperazione
«E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore» (Ef 6, 4)
Questo ammonimento di Paolo pare forse fuori luogo, rispetto a quanto avviene attualmente. Ma, se lo intendiamo in senso ampio, non lo è affatto. È molto facile, infatti, cadere nella tentazione di vedere il figlio come la possibilità di realizzare i nostri sogni nel cassetto, per mille motivi accantonati. È, invece fondamentale ricordare sempre che un figlio è un dono, non il nostro progetto, che ha i suoi, di sogni, da realizzare, non i nostri. Dobbiamo aiutarli a spiccare il volo, ma con le loro ali, non le nostre. Perché a volte l’esasperazione dei figli nasce magari non dalla disciplina ferrea cui sono state abituate le generazioni precedenti, bensì da uno sguardo incapace di guardare al figlio come “altro” da conoscere e da valorizzare, non da plasmare a propria immagine e somiglianza.
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Cfr. II Lettura festiva ambrosiana, nella Festa della Sacra Famiglia
[1] Ef 5, 33
[2] Ef 5,25