Poteva permettersi le scuole più ambite dell’epoca: senza giri di parole, Cristo era davvero “figlio di Papà”. Ta tutte, invece, scelse la scuola che più l’avrebbe fatto somigliare agli uomini e donne di cui diceva di volere diventare loro re: per diventare l’Uomo che poi diventò l’«Ecce homo» (Gv 19,5), scelse di frequentare la famiglia, quella canoa che non avanza se tutti quanti non si mettono a remare assieme. L’Onnipotente decise di farsi bisognoso della casa e dell’affetto di una madre e di un padre perchè “senza una famiglia l’uomo, solo al mondo, tremerà di freddo” dirà, un giorno, sotto voce a chi gli chiederà il perchè della sua insistenza nel chiedere di lasciare la porta aperta al naufrago, a chi avrà fame o sete, a chi si troverà nudo o tallonato dall’infermità. Comunque non c’era un’alternativa alla famiglia per uno che, dopo tutto, scelse d’essere in tutto e per tutto simile agli uomini. Eccetto il peccato: ovvio. Il grosso grattacapo, invece, toccò a chi, tra gli umani, venne scelto per costituire il nucleo familiare del Cristo Bambino, quello da registrare poi all’anagrafe. Non dev’essere stata cosa semplice, c’è da crederci, per Maria e Giuseppe accollarsi il ruolo di padre e di madre di un Figlio ch’era loro figlio ma anche il loro Dio. Eppure, senza perdersi d’animo, furono loro a insegnargli come diventare un onesto cittadino. In cambio dell’insegnamento a diventare degli ottimi cristiani.

Strano a pensarci, ma il Dio nel quale crediamo s’è accresciuto in sapienza, età e grazia con regole e princìpi: «Eravamo uno strano gruppo di personaggi che si facevano strada nella vita condividendo malattie e dentifrici, bramando gli uni i dolci degli altri, nascondendo gli shampoo, i bagnoschiuma, prestandoci denaro, mandandoci a vicenda fuori dalle nostre camere, infliggendoci dolori e baci nello stesso istante, amando e ridendo, difendendoci e cercando di capire il filo comune che ci legava» (E. Bombeck). A mamma e papà, da buon figlio, non fece comunque mancare le birbonate e gli alterchi. Le preoccupazioni tipiche degli adolescenti in rotta completa con il mondo: «Non avendolo trovato, (loro) tornarono in cerca di lui a Gerusalemme». Non fece mancare proprio niente di quel che impaurisce e allarma i genitori d’ogni secolo: figliolo in tutto e per tutto, alla madre e al padre non risparmiò le notti in bianco, i silenzi per cena, le discussioni sulle modalità di uscita e di rientro. Maria a Giuseppe, di notte: “Oggi proprio non l’ho capito, Giuseppe: faceva discorsi strani, aveva la testa da un’altra parte” Giuseppe a lei: “Certe volte ho persino paura di rimproverarlo, Maria: è che da buon padre devo insegnargli come stare al mondo”. Lui, certe sere, privo di connessione internet a cena, capiva di avere due persone stupende come genitori. Con Pietro, in uno degli anni a venire, potrebbe aver preso spunto da casa sua per insegnargli cos’è la cura: “Uno dei bisogni umani più antichi, Pietro, è avere qualcuno che si chieda dove sei quando non rincasi la sera”. Come quella volta a Gerusalemme: fecero marcia indietro perchè senza Lui non era più la stessa casa di prima.

Sudò all’inverosimile Giuseppe per fargli da padre. S’imbarazzava a mettere delle regole al suo Dio bambino: “Mi costa, Maria, dirgli di spreparare la tavola: è che la famiglia giusta, secondo me, è quella dove figli e genitori hanno gli stessi diritti e doveri”. Nel frattempo, da parte sua, Maria «custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore». Le cose che capiva, quelle che non capiva, quelle che – ne era certa lei – “un giorno mi sarà fatta grazia di capire. Intanto le vivo”. Fu un onore immenso, per loro, avere il Dio di tutti come figlio da accarezzare, da accudire, da addormentare. Fu anche un ònere da far tremare i polsi a qualsiasi mortale che abbia un pò di senno. Costruirono la loro famiglia, la Santa Famiglia, con mattoni di pazienza. Un giorno, quando Cristo costruirà la sua famiglia chiamata Chiesa, il sospetto è che abbia avuto in mente i suoi come modello. Soprattutto quando disse che la sua famiglia, la Chiesa, è il posto dove più ti comporti male più mamma e papà hanno voglia di dirti che ti vogliono bene.

Che sei preziosissimo ai loro occhi.

(da Il Sussidiario, 28 dicembre 2024)

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini (Vangelo di Luca 2,41-52).

In tutte le librerie e negli store on-line il nuovo libro di Marco Pozza dal titolo “Chi ultimo arriva meglio alloggia (Rizzoli, 2024) sul commento ai vangeli domenicali dell’Anno C

«Beati gli ultimi perché saranno i primi. A sorridere della spudoratezza di Dio». È la vecchia storia della maglia nera che c’è stata al Giro d’Italia dal 1946 al 1951: a indossarla, e dunque a vincerla, era colui che si classificava ultimo. Era, chiaramente, l’esatto opposto della maglia rosa, quella indossata dal primo arrivato. Valeva tanto quanto. Uno che se ne intendeva era Luigi Malabrocca, famoso proprio per aver indossato una maglia così epica e strana. Non è mai entusiasmante, nel mondo degli uomini, arrivare ultimi. Quando, però, incontri un ultimo diventato primo, è l’attimo nel quale ti si svela l’evidenza di quell’apparente assurdità architettata dal Cristo: «Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,44). Il Cristo che, quando voleva deteriorare alla base le verità dei presunti santi, insospettiva con creanza e savoir-faire: «Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi» (10,31). Detto e fatto. Detto e rifatto. Con lo stile dissacrante e profondo che ormai gli è proprio, il parroco del carcere di Padova, vicino da sempre a Papa Francesco, segue il Vangelo di Luca per andare in gita dentro le sue provocanti immagini, in un cammino mai prevedibile come quello di Gesù, per ritornarsene poi nella vita di tutti i giorni con un’evidenza più luminosa. Come se, specchiandosi nelle pagine dei Vangeli, la vita – quella che, sovente, fatichiamo a leggere nei minimi dettagli – si ripresentasse ai suoi occhi in alta definizione. È la magia di parole, quelle evangeliche, che non hanno mai finito di raccontare tutto ciò che sognano di raccontare ai loro innumerevoli lettori» (dalla quarta di copertina).

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Una risposta

  1. Grazie don Marco per tutto quello che fai e scrivi. Sei un grande dono del Signore. La mamma di Gesù ti protegga sempre.

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