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Siamo giunti alle battute finali del film di avventura. Tra il protagonista e la riuscita della sua missione, c’è solo un corridoio a malapena illuminato, in apparenza innocuo. I suoi speciali strumenti in dotazione, un concentrato della migliore tecnologia, gli dicono infatti che quei metri che lo separano dalla vittoria sono disseminati da trappole, sensori al laser ed altre diavolerie simili. Un minimo passo falso e sarà la catastrofe.
Nella prima parte del mese di settembre mi sono sentita più o meno così. Di sicuro meno acrobatica di qualsiasi protagonista di un racconto di avventura, ma con addosso più o meno la medesima sensazione dinanzi al corridoio colmo di punti in cui far fallire tutto il percorso intrapreso. Gli svariati corsi sulla sicurezza, che man mano illustravano a noi docenti come mettere in atto le varie normative anti-Covid, alla fine dei conti erano una valanga di “non” da cui non mi sembrava di avere scampo alcuno, simili alle trappole del corridoio sopra descritto. Non avvicinarsi troppo agli alunni, non avere nessun contatto fisico con loro, non sostare nelle aree contrassegnate, non non non…Una miriade di segnali di divieto, che nelle prime notti dall’apertura delle scuole mi ha letteralmente tolto il sonno e catalizzato la mia attenzione qualsiasi cosa stessi facendo, anche durante i lavori domestici.
È proprio durante una di queste incombenze che l’interrogativo martellante ed ostinato – non posso fare questo, non posso fare quest’altro, ma allora cosa mi resta da fare in classe? – si è dato una calmata. Avevo appena tolto il bucato dalla lavatrice, soddisfatta dal profumo di pulito e di ammorbidente che, pian piano, iniziava ad aleggiare per casa. Un po’ per gioco, un po’ sdrammatizzare l’ansia che sembrava intenzionata a mettere radici nei miei pensieri, ho detto a me stessa che mi sentivo più o meno come i miei panni, appena passati attraverso una centrifuga che li aveva spiegazzati alla grande. Anche io ero stata sottoposta alla centrifuga delle numerose norme di sicurezza, che aveva strapazzato ben bene la mia perennemente fragile autostima. Per giunta, mi sembrava anche di essere stata prosciugata da una bella dose di attività, divenute non più attuabili.
Già, ho continuato tra me e me, però al bucato la centrifuga toglie il superfluo e lascia solo il buon profumo, io invece che ne ho ricavato? La Pollyanna che ogni tanto si diverte a far capolino tra i miei pensieri – arrivati a questo punto della lettura penserete che sono parecchio fuori di testa, avete ragione! – ha suggerito, molto saggiamente direi, di smetterla di soffermarmi solo sulla lunga serie di “non” che mi bloccavano la strada. Avrei dovuto concentrarmi invece su quello che rimaneva possibile fare, era impossibile non trovare che poche soluzioni!
Per non permettere all’ansia e ai divieti di avere il sopravvento – pur rimanendo dentro i doverosi paletti del rispetto delle norme – mi è stato necessario un vero e proprio capovolgimento della prospettiva, quasi un rigirare la frittata, per rimanere in tema di economia domestica. Soffermarsi solamente su quella sorta di decalogo al negativo voleva dire correre il rischio di farlo diventare una zavorra, non un vademecum di accompagnamento. Dovevo piuttosto tramutare quelle regole in ipotesi al positivo: dal “non devo fare…” al “questo lo posso mettere in atto”. Dal “con la mascherina non posso far vedere le espressioni del volto” – giusto per fare un semplice esempio – al “uso il pollice alzato per mostrare la mia approvazione”.
Lezione imparata, bucato steso, idee arrivate non molto tempo dopo e mi sono sembrate un raggio di sole dopo una interminabile giornata di pioggia.
Episodio scuola a parte – è stata sufficiente meno di una settimana per ritrovarmi una lunga strada da percorrere lastricata di positività, senza tralasciare ogni seria attenzione – non sono rari i casi in cui la quotidianità ci strapazza con la sua centrifuga di incombenze e ci fa sentire prosciugati, tanto nel fisico quanto nello spirito. Corse, impegni, preoccupazioni di ogni sorta… ci sono momenti in cui l’essere adulti ci appare come la strada di quell’iniziale corridoio. Continuare a ripetere gli ostacoli, come un mantra, non ci aiuta nel superarli. Persistere nel rimanere concentrati su quel che ci manca ci fa distogliere lo sguardo da quel che ancora ci rimane. Certo, a parole sembra tutto facile, ma è un vero e proprio capovolgimento di prospettiva che non può essere ridotto ad un semplicistico “pensare positivo”, perché richiede una stretta collaborazione di volontà, cuore e mente, nonché una buona dose di perseveranza. I problemi infatti non spariranno come per magia, ma avremo in dotazione un punto di appoggio forse non per sollevare il mondo, come diceva Archimede, ma almeno per affrontare gli ostacoli.

Il mio personale grazie a Terenzio Traisci e ai suoi spunti di positività. 

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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