schiappa

Come l’avventura di quattro schiappe possa scompigliare un mondo appisolatosi nelle sue chimere (liturgia della III^ settimans del tempo ordinario). L’acqua del Battista Gli era appena scesa sul capo e il Viandante di Nazareth non perse tempo: uscito dalla stamberga di silenzio di casa sua – nella quale visse un lungo letargo divino lungo oltre cinque lustri – si diede ad ammaestrare Satana sfidandolo faccia a faccia. Così, tanto per mettere le cose in chiaro e fargli assaporare che non tutti gli uomini sono nati per essere come bave dei suoi prestiti. Quaranta giorni lì dentro, a spartire la più umana delle leggi di natura – ovvero la tentazione di somigliare a Dio – e poi via a battere strade per fare strada al Regno di Dio. Per accendere un po’ di luce dentro le stanze nebbiose e annebbiate del regno degli uomini: Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta”. E l’avventura sembra cominciare proprio nel luogo sbagliato: nella terra di Zabulon e di Neftali, Galilea delle genti ovvero terra di confini e di periferia, di dimenticanza e di non considerazione. Di polvere, poca fama e tanta pietà. Come Nazareth. Nel luogo e nel momento sbagliato, forse il più azzardato: della testa del Battista è appena stato fatto regalo alla figlia di Erodiade, la viziata ballerina che stregò gli occhi della volpe di Erode fino a strappargli ciò che il cuore di sua madre – femmina di vendetta – chiese: ovvero la testa di colui che si sforzava di additarle la strada vera. Cade la testa e i discepoli del profeta rupestre hanno paura: dopo il capitano, decapiteranno forse anche la squadra? Tutti rintanati come talpe nelle loro tane: Lui – per il quale il Battista giudicò ridicola la sua vita fino a farsi mozzare il collo – sembra invece non curarsene affatto. Entra e inizia laddove quell’altro suo parente aveva lasciato l’opera: “Convertitevi perchè il Regno di Dio è vicino”. Passi la terra – in fin dei conti un posto vale l’altro, anche se la fama quaggiù aiuta -, passi anche la tempistica – non esistono venti contrari, ma uomini e donne che s’arrendono narrava Seneca -; è la scelta della compagnia, però, a destare sospetti funesti: non son mercanti che sanno trafficare nelle piazze, né osservanti che snocciolano i minimi ordini della Legge e tanto meno sono rabbini che citano a memoria i versetti delle Sacre Scritture. Sono pescatori: uomini d’acque e di mari, di pesche e di nottate al chiaro di luna, di attesa – tanta attesa – e di colpi di fortuna: quelli del mare avaro, del mare generoso, del mare maledetto. Uomini delle sorprese, nessuna delle quali battè per ardire quella del Viandante: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”. E quelli, uomini avvezzi ai calcoli – tot pesce per tot al chilorende tot al giorno – “subito, lasciarono la barca e lo seguirono” Così, senza nessuna spiegazione in merito? Maria, la Donna Strana, almeno chiese lumi a quell’Arcangelo sbarazzino: “com’è possibile questo? Non conosco uomo”. Questi, invece, no: trasmigrano altrove, sposano altri mari, s’affidano a tutt’Altro maestro di pesca. Ciò che li attende ancora non lo potranno sapere: sanno solo che rimarranno pescatori, non tradiranno il vecchio mestiere, il sapore e la sapienza di una tradizione di famiglia, non dovranno maledire il loro passato. A cambiare sarà solo la materia del pescato: non più pesci ma uomini. Lasceranno ogni cosa per seguire il sogno di chi trasforma il dolore in gioia; ascolteranno il grido di chi dona la vista ai ciechi, vedranno gli occhi di prigionieri liberati, sentiranno la speranza dei disperati. Da quel mare se ne torneranno stra-volti: sgrideranno il vento, cammineranno sulle acque, cacceranno i demoni, sutureranno piaghe, asciugheranno lacrime. Quattro schiappe senza più nemmeno le loro barche: “Anche se il loro spirito rimarrà sempre troppo basso e rozzo al cospetto del Maestro, e talvolta dubiteranno e pencoleranno, e non intenderanno le sue verità e le sue parabole, e alla fine, l’abbandoneranno, tutto sarà perdonato per la prontezza candida e sicura colla quale l’hanno seguito alla prima chiamata” (G. Papini, Storia di Cristo).
A sentire i saggi del tempo, iniziò la più ardita tra le avventure nel posto sbagliato, entrò in scena nel momento meno favorevole e propizio e mise in piedi una squadra che più arraffata di così non Gli poteva riuscire. Gli diedero poche chance: Lui fece orecchie da mercante e partì. Anche il Titanic fu costruito da professionisti e s’inabissò. L’arca fu costruita da Noè, agricoltore provetto, e resse la furia di un diluvio gonfio d’acqua. A Cafarnao lo sapevano bene i pescatori: mai giudicare la barca stando nel porto. Un Grandissimo è creatore di grandi.

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