Quasi un’esagerazione celeste. Perché mai prima d’oggi era capitata un’abbondanza così copiosa: la cerimonia di canonizzazione di due papi (Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II) alla presenza di due papi ancora vivi (Benedetto XVI e Francesco). Verrà annoverata negli annali come una delle tante “prime volte” alle quali ci costringe la sorpresa di un’epoca storica nella quale due papi convivono all’ombra dello stesso cupolone e guidati dallo stesso Dio. Un’esagerazione che, però, potrebbe valere una bellissima pagina di storia, una di quelle che entrano direttamente nell’immaginario collettivo pronte a dettare tendenza o, se non altro, a mostrare la possibilità di ciò che sovente – per rabbia, per rassegnazione o per semplice noncuranza – viene additato come impossibile a realizzarsi. La storia di questi due papi che da oggi sono elevati al rango di “santi”, è infatti la storia di due uomini che hanno creduto per davvero come l’impossibile umano sia il possibile di Dio, quasi un gesto di semplice amministrazione ordinaria. Anche se le loro avventure umane e spirituali furono tutt’altro che semplici e prive d’ostacoli.
Eppure, contemplandoli da vicino, sembra quasi essersi avverata in loro quella simpatica espressione dello scrittore G. Chesterton, quando ebbe a dire: «L’evoluzione è ciò che succede mentre l’uomo dorme, la rivoluzione è ciò che accade quando l’uomo sta sveglio». E di gesti rivoluzionari – nell’acchito più splendido del termine – è stata impregnata la storia umana di questi due papi: dall’indizione del Concilio Vaticano II alle spallate ai grandi sistemi dittatoriali inflitte dall’esplosiva personalità di Giovanni Paolo II. Due uomini che in fronte alla pesantezza del tempo in cui vissero, mai si diedero per vinti nel credere pure loro che la storia, nel suo vero intimo, fosse governata dagli uomini. Diedero credito alla Provvidenza e mostrarono pure all’uomo di fede come il mondo possa cambiare quando ci s’immerge per davvero dentro la complicità della cronaca feriale, stregati e guidati dalla sapienza evangelica. Dalla “Pacem in terris” di Giovanni XXIII alla “Centesimus Annus” di Giovanni Paolo II sta racchiusa la risposta del Cielo alla prima metà del ventesimo secolo: in un’epoca che ha contemplato in mondovisione cosa accada quando l’uomo si mette al posto di Dio, l’opera silenziosa e rivoluzionaria di questi due uomini mostrò in anteprima come sia possibile rispondere alla storia in un modo più umanizzante, meno barbaro, più saporito. In questo senso furono profeti del nuovo che avanzava, profeti nell’accezione più biblica del termine: non tanto indovini, cartomanti o fattucchieri ma uomini che nell’intricato labirinto della quotidianità seppero leggere quel filo rosso della Provvidenza presente in ogni epoca storica. E seppero alimentarlo con l’audacia della loro appartenenza a Dio agganciata alla loro fedeltà al popolo di cui furono condottieri.
Da uomini di quaggiù tennero anche gli attrezzi del mestiere di tutti gli uomini: vizi e virtù, caratteri e personalità, sensibilità e intuito che sono i portinai dell’essere umano. La loro grandezza – che da oggi diventa santità – fu quella di saper vincere anche le loro debolezze per non ostacolare quel cammino della Grazia ch’era acceso dentro i loro cuori. Forse per questo oggi Piazza san Pietro è gremita a festa, e giustamente: ci sono giorni in cui non basta ascoltare un racconto ma s’avverte forte il desiderio di toccare qualcosa, d’incontrare Qualcuno, d’imbattersi in una storia che narri che tutto può cambiare, che niente deve rimanere com’è. Che la santità, seppur così apparentemente lontana e misteriosa, rimane l’augurio più bello per ogni figlio e figlia che entri dentro la grande tradizione cristiana. Quella che oggi sembra esagerare.
(da Il Mattino di Padova, 27 aprile 2014)