narcisoNiente da dire: è sicuramente un bravo ragazzo, con la stima di sé molto forte: “ti ringrazio perchè non sono come gli altri uomini: ladri, ingiusti, adulteri e neppure come questo pubblicano” (liturgia della XXX^ domenica del Tempo Ordinario). Fantastico: quant’è facile salire il cielo poggiandosi sulle spalle degli altri. Ma non basta, è proprio bravo: “digiuno due volte la settimana (quando la legge ne chiedeva una) e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Obbediente, disciplinato, politicamente corretto; ma anche arrogante e presuntuoso di fronte al fascino della bontà di Dio. Mica ha tutti i torti quell’uomo: è anche bello, in fin dei conti, sapersi differenti di fronte ai truffatori della storia. Non ha tutti i torti, ma uno solo: crede sconsideratamente nella propria giustizia. Quasi che un giorno – quel giorno che solo a pensarci fa nascere dentro il batticuore – gli spetterà ciò per cui ha faticato: impossibile anche solo immaginare che la salvezza sia un dono, ella deve rimanere la conseguenza della sua statura d’uomo. Punto e a capo. Sempre in piedi: peccato sia un uomo che sta dritto pur sapendo di avere un’idea sbilenca di quel Dio col quale sta mercanteggiando la salvezza.
Perchè lui non è un pubblicano qualsiasi: loro sì che sono dei farabutti, degli imbecilli ricattatori, dei truffaldini rinomati. Basta chiederglielo, non occorrerebbe fantasticare: “O Dio, abbi pietà di me peccatore!”. Nemmeno gli occhi sapeva alzare quel fedele ingobbito là in fondo alla navata. Lui, servitore e al servizio dei romani, appartenente alla razza infame di prostitute, ladri, adulteri e pagani non può parlare. Parla già la sua storia in vece sua: sa di non poter pretendere nulla da Dio ma di dipendere eternamente dall’eterna Sua misericordia. Percepisce d’essere sul crinale della storia, la sua di storia: “abbi pietà di me, peccatore”. Sembra quasi d’avvertire il rimbombo che rimbalza in quelle navate: da una parte del cantilena quieta del fariseo – “Io (sono bravo, disciplinato, obbediente” – e dall’altra la nenia affettuosa e sincera del pubblicano – “Tu (Dio) sei grande e misericordioso” -: un’alternanza di pronomi, una successione di atteggiamenti, una mescolanza di prospettive. Da una parte l’inutilità di Dio, dall’altra l’esigenza stessa di Dio: perchè dentro quella chiesa la sola salvezza procurata è quella d’invocarla da chi è Misericordia. Magari incomprensibile, ma pur sempre da addebitarsi come grazia: “Credo di non essermi mai allontanato dalla religione dei padri, ma dalla chiesa sì… Come uomo di ragione e di fede, so di essere immerso nel mistero che la ragione non riesce a penetrare sino in fondo” (N. Bobbio, pensatore del XX^ secolo).

Cari Fratelli,
vi ringrazio, e vorrei approfittare di questo incontro con voi, che lavorate nelle carceri di tutta Italia, per far arrivare un saluto a tutti i detenuti. Per favore dite che prego per loro, li ho a cuore, prego il Signore e la Madonna che possano superare positivamente questo periodo difficile della loro vita. Che non si scoraggino, non si chiudano. Voi sapete che un giorno tutto va bene, ma un altro giorno sono giù, e quell’ondata è difficile. Il Signore è vicino, ma dite con i gesti, con le parole, con il cuore che il Signore non rimane fuori, non rimane fuori dalla loro cella, non rimane fuori dalle carceri, ma è dentro, è lì. Potete dire questo: il Signore è dentro con loro; anche lui è un carcerato, ancora oggi, carcerato dei nostri egoismi, dei nostri sistemi, di tante ingiustizie, perché è facile punire i più deboli, ma i pesci grossi nuotano liberamente nelle acque. Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, nessuna; Lui è lì, piange con loro, lavora con loro, spera con loro; il suo amore paterno e materno arriva dappertutto. Prego perché ciascuno apra il cuore a questo amore. Quando io ricevevo una lettera di uno di loro a Buenos Aires li visitavo, mentre ora quando ancora mi scrivono quelli di Buenos Aires qualche volta li chiamo, specialmente la domenica, faccio una chiacchierata. Poi quando finisco penso: perché lui è lì e non io che ho tanti e più motivi per stare lì? Pensare a questo mi fa bene: poiché le debolezze che abbiamo sono le stesse, perché lui è caduto e non sono caduto io? Per me questo è un mistero che mi fa pregare e mi fa avvicinare ai carcerati.
(Discorso di papa Francesco ai sacerdoti che lavorano nelle carceri, 23 ottobre 2013)

Come il più bel ritratto del cristiano: l’uomo dalla memoria di ferro. Perchè se tu non ti ricordi da dove vieni, con difficoltà deciderai dove vuoi andare. E a ben pensarci il cristianesimo è tutto qui: “Shemà Israel (…) Io sono il Signore Dio tuo che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, da una condizione di schiavitù” (Es 20,2). Ascolta Israele! Solo dopo nascono i comandamenti, in un contesto di amicizia e di confidenza. Che è come dire: “dopo tutto quello che tu, Dio, hai fatto per me allora non posso più vivere come prima. La memoria di Te ha sconvolto il mio presente”. Se non ti ricordi ciò che Dio ha fatto per te, il cristianesimo diventerà la più grande farsa della storia, una delle più inspiegabili forme di masochismo: non reggerà il battito delle più quotidiane storie d’amore. E finirai anche tu per dire: “mi comporto così per voler bene a Dio”. Dimenticandoti la cosa più stravolgente: che in qualsiasi caos tu viva, quello (e non un altro) sarà il punto di partenza del ritorno verso di Lui. Tutto il resto è stato frutto dell’immaginazione perversa di certe catechiste, supportate da preti che non hanno conosciuto il vero Dio: “è volontà di Dio, non si muove foglia che Dio non voglia, non vorrai mica dare un dispiacere a Dio vero?”. Fino alla bestemmia delle bestemmie: “Rassegnati, se non preghi Dio non ti aiuta, chiedigli subito scusa”. Riposino in pace, Signore. Perchè la discriminante era all’opposto: “Dio ti cerca e ti trova sempre. Non te lo perdere, altrimenti sei perso!”. Con buona pace del pubblicano ancor vestito d’umile appartenenza.

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