“Addomesticare significa creare dei legami”, ci ricorda la volpe del piccolo Principe. E quando questi si spezzano?
Parlare di una relazione come di un legame, sottende la concezione di un’unione e dunque la constatazione reale e concreta che si tratti di un ingresso, gravido di conseguenze, di una persona nella nostra vita. Così che la sua dipartita, o semplicemente il suo allontanamento, non può che suscitare, in modo ineluttabile, una sofferenza: in quanto parte di noi, perderla significa rimettere in discussione la nostra vita.
Le nostre relazioni non possono mai, per forza di cose, essere indifferenti. Ci identificano, ci formano, ci parlano di noi. Ed è poi questo il motivo per cui, qualora finiscano, ci ritroviamo spiazzati, “in crisi”: necessitiamo di un “riordino” nella nostra vita.
Al contempo, tuttavia, prolificano le convivenze, sentite e proclamate come identiche al matrimonio (ma se sono così uguali, allora tanto varrebbe sposarsi, no?), le coppie si sfasciano, i divorzi si moltiplicano. E in questo clima, a poco a poco, con l’incertezza e la mancanza di esempio, serpeggia ormai inesorabile la sensazione che non sia possibile pensare a una “fedeltà eterna”. E non è perché sia fatica, costi impegno e fiducia. Anche. Ma non solo. In epoca di precariato e flessibilità, il solo pensare ad un “per sempre” sembra addirittura anacronistico, fuori luogo, irrealizzabile.
“Non è un gran male il divorzio, se non ci sono coinvolti dei bambini”: questo è un pensiero molto diffuso. Che, in verità non è poi scontato né banale, dato che, una volta tanto, vede tutelati i soggetti più deboli, cioè, in questo caso, i figli. Tanto spesso, al contrario, essi sono invece sballottati di qua e di là, contesi tra i genitori, trascinati in tribunale quasi fossero i reali colpevoli della situazione creata dai propri genitori (di frequente, ciò porta addirittura ad una colpevolizzazione di se stessi da parte dei figli, che si credono responsabili della separazione della propria famiglia).
Eppure non basta. Questo pensiero lascia trasparire l’illusione che due adulti possano “sopportare meglio” una separazione.
Ecco che allora, inesorabile, s’insinua e prende forma il vero motivo, forse, per cui non si ha più il coraggio di fare progetti a lungo periodo, su vasta scala, con una proiezione spazio-temporale che vada oltre il “qui ed ora”. Si ricerca spesso, e a volte ci si illude di potersi rifugiare in situazioni di relazioni dotate di “minore coinvolgimento”, più precarie, più dinamiche, meno “ufficiali”, tentando forse, così facendo, di tutelarsi sulla possibile fine e sulle sue conseguenze psicologiche ed emotive.
Ma è inutile: nessuna frattura è esente da lacerazione interna. Non è solo un divorzio a fare male, basta che ci sia una coppia che si divide. Ancora: non fa meno male la rottura di un’amicizia.
Tanto più il legame che si era instaurato era ormai diventato profondo, tanto più la frattura causa dolore, lacerazione: una ferita reale, che si fa tanto più di difficile guarigione in quanto si erano condivisi progetti, sogni, speranze, aspettative. Tanto più noi eravamo presi da quest’unione, tanto più ne eravamo avvinti, tanto più l’allentarsi e il rompersi di questo legame, oltre a farci soffrire, ci lascia in balia di dubbi e perplessità.
La realtà stessa ci dice che essere adulti non significa soffrire di meno. Al più, si dovrebbero possedere gli strumenti adatti a comprendere e analizzare il dolore. Ma nessuna relazione interrotta, qualunque essa sia, può dirsi immune dal causare sofferenza, dal provocare dolore, dal lasciare inesorabile il ricordo di “ciò che è stato”, come una cicatrice.
Restano interrogativi ancora aperti: può un amore “spegnersi”? Oppure, è invece il segnale che non si è mai “acceso”? Queste sono domande che bruciano, perché vanno a mettere in discussione l’essenza stessa degli affetti umani.
Ma Aristotele annota, inesorabile, che “l’uomo è un animale politico”. Dobbiamo dunque rassegnarci: nonostante delusioni, sconfitte, tradimenti, disincanti, disillusioni, rimpianti, rimorsi e ricordi che ancora ci lacerano, l’uomo è portato a cercare l’amicizia e l’amore. Sa di non poterne fare a meno.
Tommaso d’Aquino va anche oltre: partendo dalla riflessione su come il distacco da ciò che si ama sia causa di dolore, arriva a vedere nella separazione dell’uomo da Dio la “causa prima”e la “matrice” di tutto il dolore umano.
Lasciatemi rimpiangere l’arte dell’«aggiustare» che, declinata nell’alfabeto dei sentimenti, fa rima con la disponibilità al perdono, all’ascolto, alla spesa del tempo nell’«addomesticamento» reciproco, condizione indispensabile per pensare a dei legami che superino le difficoltà che il tempo presenta di volta in volta.
In un’epoca come la nostra, dove tutto è già bell’e pronto, abbiamo perso la magia, la dedizione, la pazienza che scorrono dietro i gesti semplici e quotidiani del carpentiere, capace di rimettere a nuovo utensili e oggetti di uso comune, senza che nulla vada sprecato.