gelosia

C’avevano provato ad imitare quel Rabbì-Maestro salito fortemente alla ribalta. Forse per quel presagio condiviso in tempi non sospetti – “voi farete cose più grandi di Me, voi sarete Me” – li aveva caricati oltre misura. C’han tentato qualche versetto prima ma non ci sono riusciti a liberare quel ragazzo. E adesso rosicano forte i Dodici: sono domeniche che inanellano inaspettate affermazioni d’amore con colossali sbandate di pensiero: Pietro ne sa qualcosa. Stavolta azzardano un po’ oltre, forse con un pizzico di gelosia per quella misteriosa energia che sembra appartenere anche ad altri, a quelli che “non sono dei nostri”. Glielo dice Giovanni, forse con quel pizzico d’ingenuità tipica di chi ha il cuore ancora fanciullesco: “ Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri” (liturgia della XXVI^ domenica del tempo ordinario). Storie di ambizioni più o meno dichiarate nel gruppo dei Dodici: gli amici di Lui sono loro e solo a loro dev’essere concessa la grazia di far rinascere la vita sopra le macerie. Stavolta, però, davanti a loro campeggia la figura di un Gesù spettacolare, che della gelosia non tiene traccia e che li ammaestra ad un’apertura d’orizzonti: “non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi è per noi”. Storia di un Uomo che nessuno volle ospitare nei giorni della nascita, del quale pochi osarono dichiarare l’amicizia sui sentieri vertiginosi del Golgota ma che nel pieno della sua fama terrena – in quei mille giorni che vanno dal Lago al Golgota – tutti desideravano tirare per la giacca in segno di gelosa appartenenza. Come a dire: “nessuno ce lo tocchi, è nostro”. Ebbe un bel da fare Lui, profondo conoscitore dell’animo umano, a spiegare loro che i confini vanno allargati, che gli steccati li hanno inventati quaggiù, che nelle praterie del cielo è cosa assai azzardata dividere gli uomini e le donne in buoni e cattivi, dei nostri o foresti, degni o indegni. Lui, nato tra i pastori, un giorno preferirà i pescatori: dei primi custodiscono le tracce i rotoli dell’Antico Testamento, dell’acqua dei secondi sono imbevute le pagine del Nuovo Testamento. Ma dei pastori l’Uomo di Galilea serbò felice ricordo: i migliori tra loro sono quelli che sconfinano ai bordi dei pascoli, che annusano l’erba fresca per gli armenti, che arrischiano la faccia per ingrossare il ventre delle loro pecore. Così sarà di Lui e del suo Spirito: nessuno potrà dire “è mio/è nostro” perchè esso non sarà proprietà privata dei cristiani ma di tutti coloro che – pur distanti dall’aver conosciuto quel Volto – sapranno dare un bicchiere d’acqua in Suo nome.

“Dinanzi ad un mondo che non ammette più il Vangelo se non presentato da una chiesa irreprensibile, non ci si può più permettere alcunché di meccanico, di comodamente adagiato nel letto che i “secoli della fede” avevano preparato alla Chiesa”

“La verità e l’errore non sono separati da una zona intermedia che non apparterrebbe né all’uno né all’altro e che sarebbe prudente evitare. Al contrario, essi si toccano su tutta la linea: la verità va fino all’errore, a senso unico; arrestarla troppo presto, anche se lo si fa per allontanarsi maggiormente dall’errore, significherebbe cadere nell’errore, significherebbe chiamare falso ciò che è ancora vero” (Congar Y., Vera e falsa riforma nella Chiesa, Jaca Book 1994)

Quant’è bella la fisionomia della Chiesa immaginata e organizzata dal Nazareno, quella presenza ospitale in cui c’è posto per tutti: per chi nella figura di Cristo ha posto la sua fede e per chi di Lui ha solo sentito parlare, per chi ne è convinto e per chi avverte curiosità, per chi cerca una conferma alle sue risposte e per chi cerca una domanda che accenda i suoi passi. Un luogo che tutti spontaneamente chiamerebbero casa, quello spazio intimo e familiare in cui ci si sente sicuri anche al buio. Quant’è distante oggi la nostra Chiesa da quell’idea: tra le nostre navate c’è posto se sei di quella frangia, se ti ritrovi in quello stile, se appartieni all’Azione Cattolica o al mondo degli Scout. Se vai a messa la domenica, se partecipi alla castagnata in parrocchia o se sei di quelli che sono “amici del don”. E per tutti gli altri sembra non esserci posto, o meglio: c’è posto a parole ma se ciò richiede di rimettere in gioco uno stile, una pastorale datata, una programmazione già fissata allora li ascolteremo un’altra volta. Eppure le mani di loro tengono bicchieri d’acqua per gli assetati, tozzi di pane per gli affamati, parole d’amore per i disperati: “perchè, Giovanni, vorresti proibire loro d’amare col loro alfabeto?”
La Chiesa – quella organizzata dagli uomini – non avrà niente da dire sulla morale fino a quando coloro che ci ascoltano non avranno goduto di un barlume del piacere di Dio nella nostra esistenza. Un barlume di piacere senza gelosia alcuna. Perchè il Volto di quell’Uomo non conosce preferenza alcuna.
Almeno Lui. Adesso c’appare chiara quella Croce che si sta stagliando all’orizzonte: l’Amore irrita la storia.

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