In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
(Dal vangelo di Luca, cap. 9 vv. 11-17)
Fa un esperimento. Mettiti sull’altare e prova a dire: “Per Cristo con…”. Dopo tre parole la gente subito t’insegue: “con Cristo e in Cristo. A te Dio”. Se dici: “Per Cristo nostro Signore” rispondono “Amen”. Se dici “Per Cristo Signore nostro” tacciono. All’Agnello di Dio si raggiunge il top: partono alti e finiscono impoltriti. “O Signore (vol.9) non son degno (vol.6) di partecipare alla tua mensa (vol.3)….sarò salvato (non lo pronunciano)”. E quasi ti chiedono uno strappo per giungere alla fine. La predica il più delle volte sostituisce il pisolino pomeridiano accompagnato dal karaoke che sostituisce l’organo: l’unico movimento concesso è la spallata al vicino perché russa un po’ troppo. E t’impedisce di programmare il pomeriggio. Poi ci si alza e si va alla comunione. Non vorrai mica essere l’unico che non ci va, vero?
“Ricordati!” Non tiene mezze misure o leggeri sinonimi il vecchio condottiero di Dio di nome Mosè. Dice semplicemente: “Ricordati!” E mentre lo senti risuonare nelle pagine dei rotoli sacri, quas’avverti l’eco di quel verbo conosciuto sin da bambino: “ricordati di allacciare le scarpe, di guardare a destra – sinistra prima di attraversare la strada, di salutare prima di uscire dall’aula, di farti il segno della croce prima dei pasti. E poi ricordati di aiutare la nonna, di stendere la biancheria, di lavare le posate, di fare uno squillo appena arrivi a destinazione”. Ricordare: il verbo della memoria, del cuore, del pensiero. Lo dice la mamma al bambino, lo dice la nonna alla mamma, lo dice il bambino alla mamma e al papà. Se lo fanno rimbalzare tra di loro i fidanzati. Lo dice Mosè al suo popolo: “Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto” (Dt 8,2) Cioè: non dimenticare mai che i tuoi passi percorrono orme divine, traiettorie celesti, pensieri colorati di cielo. Ricorda per poter crescere, per non abbassarti, per non far inciampare i tuoi passi. Ricorda che eri un popolo di straccioni, un’orda di beduini e Dio t’ha per mano verso la libertà.
A scuola s’imparavano a memoria le poesie di Leopardi, i canti di Dante e gli Inni Sacri del Manzoni. Cioè si ripetevano in continuazione vecchie parole, sogni sbiaditi, concetti stra-usati. I docenti della Scrittura Sacra invitano ad una memoria strana: non una ripetizione del passato. A cosa servirebbe? La memoria nella Bibbia diventa memoriale, cioè il passato non viene snocciolato a vanvera ma è come se capitasse per la prima volta. Cioè tu sei partecipe in presa diretta di un Cristo che cerca nascondiglio nel tuo petto, che s’insinua nei tuoi pensieri, che sveglia il tuo torpore. L’eucaristia! L’emozione di un Dio che ti raggiunge come sei: peccatore e schiavo, menefreghista, codardo e marcio. Sporco, splendido e irriverente. Stupito, stupido o ignavo. Non importa: Cristo entra! A volte sento le mani tremare nell’atto della consacrazione: il gesto massimo del sacerdote. Senti sulle spalle incurvate il peso del divino, la tenerezza della tua debolezza di uomo, la potenza di un mistero inafferrabile. Che ti rapisce liberandoti. Nelle tue mani sporche, il Corpus Domini. A volte mi smarrisco negli occhi di chi s’accosta alla comunione: lo stupore e l’abitudine, l’emozione e l’attesa. La noia, la malinconia e la svogliatezza. “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Gv 6,51). Peccato che a questo pane ci siamo abituati: cioè non ci dice più nulla. Qualcuno balbetta un amen “in calare”, qualcun altro si scoccia del disturbo, qualcuno lo imbocca come una caramella. Qualcuno ci crede davvero e, quasi, lo vedi piangere. Singhiozzare. Vedi una lacrima attraversargli lo sguardo ridente e fuggitivo. Perché questa è l’Eucaristia: lasciarsi andare, afferrare e strapazzare dall’onda di Gesù Cristo. Percorrere sentieri inediti, tracciare percorsi di fantasia, capovolgere i tuoi programmi. Chi celebra l’eucaristia si sente più libero, sa di essere uomo ma non più uomo. Sa di non meritare l’eucaristia – “O Signore, non son degno di partecipare alla tua mensa…” – ma conosce quell’abbraccio che ti fa ripartire, che ti rimette in cammino, che traduce la debolezza in potenza inaudita. Chi crede nell’Eucaristia non sta con le mani giunte, ma tiene le maniche rimboccate. Se la testa è leggermente inclinata non è per deviante misticismo, ma per intraveder nelle fessure strade nuove in cui lanciarsi. Perché nel profumo di quel pane spezzato annusa la forza del sogno. Diventa un insoddisfatto. Un insofferente delle mezze misure. Uno deciso a perdere tutto pur di tentare l’avventura della nudità più povera di fronte a Dio. E quando c’è di mezzo Dio sognare è un dovere. Perché il sogno ti permette di immaginare una realtà diversa, perché impedisce di dormire. Il sogno ti sveglia, ti mette in piedi. Quando nel mondo è accaduto qualcosa di nuovo, è avvenuto grazie a dei sognatori terribili, inguaribili, che si ostinavano ad immaginare una realtà diversa. Nuova. Fuori dalla banalità.
M’affascina da sempre la gente che, celebrando l’eucaristia, ha immaginato un modo diverso d’essere uomini. D’essere preti! D’essere liberi: di innalzarsi e abbassarsi, di costruire, distruggere e ripartire. D’essere pazzi per Dio! Può darsi che anche a te, come a me, ti consegnino dei fogli già scritti. E t’invitano a ripeterli all’infinito. Ti fanno capire che la pagina è già stata scritta, che è tutta piena, che non ci stanno più parole. Che è tutto in ordine. Ma tu, se sei uomo eucaristico, butti subito l’occhio sui margini, su quello spazio tutto bianco, vergine, in-usato. Cioè avverti la possibilità di annotare intuizioni, tentare imprese, dissociarsi dallo scritto. I margini sono gli spazi prospettici che ti regala l’Eucaristia: si vive ai margini. Ma si scrive anche ai margini. I poeti annotavano ai margini le loro correzioni. Che perfezionavano e abbellivano i loro testi!
I famosi padri del deserto egiziano ci hanno lasciato una serie di detti e di apologhi spirituali di grande suggestione. In uno di questi si ricorda il gesto stravagante compiuto da uno di loro nei confronti di un discepolo che gli chiedeva quanto intensa dovesse essere l’unione con Dio. Il maestro l’aveva fatto scendere nel Nilo e gli aveva schiacciato la testa sott’acqua. Quando, ormai disperato, il discepolo era riuscito ad emergere si era sentito apostrofare così: “Che cosa hai desiderato di più in questi istanti terribili?”. “L’aria” – rispose naturalmente il discepolo. “Ebbene – concluse il maestro – devi desiderare la comunione con Dio con la stessa intensità con cui hai bisogno dell’aria che respiri”.
L’eucaristia. La celebro all’alba, appena i sogni cedono il posto ai primi passi. E’ un’esigenza, una passione, un’emozione. Salutiamo il sorgere del sole assieme. Io e Lui: il Gigante e il bambino. La perfezione e il peccato. L’orgoglio e la misericordia. Inginocchiato, con le mani tese a consacrare, i piedi tremanti avverto il profumo del Pane entrare nella pelle. Il sapore del rischio. L’avventura della libertà.
Quando esco mi sembra di volare. O di correre. O di camminare.
Che voglia matta d’accendere il mondo!
Buona settimana!
GOD BLESS YOU