C’era un tempo in cui le tradizioni si tramandavano di padre in figlio,
di generazione in generazione, di mano in cuore. La Scrittura stessa lascia
in eredità vecchi racconti. E ripetendo quei gesti – che diventavano liturgie
dell’esistenza – si rinfrescava il significato nascosto, la bellezza recondita,
lo stupore delle origini. Tradizione era sinonimo di vecchie leggi, di aneddoti
appassionanti, di pagine di storia vissuta.
Amare la tradizione significava essere affezionati alla vita della
gente.
Era prestare la voce ai ricordi per tracciare un sentiero verso il
futuro.
Ma quando le tradizioni non rievocano più le parole, perdono il significato.
La bellezza. L’autenticità. Sono giorni che siamo spettatori attoniti di atti
di noia che portano alla follia crudele: da Verona a Torino, passando per Roma
e Reggio Calabria. Fino al nostro apparentemente tranquillo nord-est. Forse
troppi rumori assordanti stanno rubando la voce alla vita, alla nostra
coscienza. Ai nostri ragazzi. Un pestaggio mortale non è mai la sconfitta di un
gruppo di persone: è un’unghiata all’intera società civile. E’ come sparare al
cuore di un sogno: quello della convivenza serena delle giovinezze. Troppo
presto abbiamo reso clandestino un discorso di fede: non perché falso, ma
perché irreale. Ma con l’acqua sporca abbiamo gettato pure il bambino: cioè
abbiamo gettato via la possibilità di regalare ai nostri figli un universo
amico, una prospettiva di serena speranza, delle domande che accendessero la
loro curiosità. L’homo sapiens è
divenuto col tempo homo ludens per
trasformarsi ultimamente in un homo
sbandatus
. Con grande fortuna degli psicologi: tutti a chiederci che risposte
non abbiamo dato, che bisogni non abbiamo riempito, che tendenze ci sono
sfuggite. Quando, forse, abbiamo volutamente dimenticato la cosa più semplice.
E, quindi, più difficile: suscitare le domande nel loro cuore. Oggi a voler
essere profeti, c’è un mantello da raccogliere: escogitare un piano per vincere
questa sordità assordante verso l’esistenza.
Ci stiamo accorgendo che non basta più questo clima di superficialità
dilagante e consenziente. Si necessita di cervelli che s’accendano, che inventino,
che s’arrischino in imprese d’altri tempi. Dobbiamo ridestare l’immaginazione,
la sensibilità, i sentimenti, la volontà. Ascoltare, come maratoneti nella gara
della vita, le pulsioni del cuore, i battiti, le voci interiori. Il proprio
mistero.
Perché l’acqua è sempre più fresca alla sorgente!

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