Tra le distrazioni più care amo capire graffiti, analizzare murales, afferrare sillabe tra loro a prima vista sconnesse. M’arresto nel mio cammino perché curioso di svestire l’animo che ha mosso una penna a scribacchiare un sentimento così veloce ma denso di avvertenze. All’altezza di Terme Euganee dal treno scorgo una scritta su un muro prossimo ai binari: “Dio è morto. Finalmente”. Andata e ritorno sui libri di scuola: busso alla porta di Nietszche, mi faccio rammentare il suo annuncio circa la morte di Dio. Era il tempo de La gaia scienza. Ma qualcosa stona! Quella scritta sul muro nasconde la soddisfazione rinchiusa dentro l’aggiunta “finalmente”. Ma veramente c’era gioia nelle parole di Nietszche? A me più che un grido di vittoria pareva nascondere un urlo carico di tragicità. Il grido di un mistico (come lo dipinse il teologo H. De Lubac) che odiava il cristianesimo ma amava alla gelosia Gesù Cristo. Tuffatosi al mercato in pieno giorno con una lanterna in mano, l’uomo folle grida la sua notizia e capta come rimbalzo l’ironia dei suoi concittadini. La stessa ironia con la quale il filosofo smaschera la loro superficialità. Ma lui, folle deriso, si sente angosciato perché scopre che hanno ucciso Dio, il significato della vita.
I cittadini del mercato, prigionieri di una fretta che troppo spesso conduce ad un analfabeto delle emozioni, non percepiscono la drammaticità di quest’evento. Il folle getta a terra la lanterna che si sbriciola in frantumi e firma un’amara constatazione: “Vengo troppo presto non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini…” (aforisma 125). Di un’intelligenza più profonda di chi ha scarabocchiato quel graffito, Nietszche si dimostrò nemico totale di quell’ateismo volgare rappresentato dalla folla assiepata nel mercato. Lui era consapevole che in gioco non era solo la morte di Dio, ma la morte dell’uomo.
L’uomo: quest’appassionato ricercatore di verità, si scopre tragicamente smarrito laddove deve accollarsi tutte le conseguenze della sua finitezza. Che paradosso: in un’epoca che forse troppo presto ha fatto suo il principio dell’inutilità di Dio per l’uomo, riaffiora la nostalgia di un senso da ricostruire.
Com’era quella storia che Dio scrive dritto anche sulle righe storte…?