Hai voglia tu a dire che il corpo non conta niente: soltanto chi non ha stima del suo potrebbe mettere la firma per una petizione simile. Tant’è che, certune volte, quando si son perduti tutti gli appoggi non rimane che fare affidamento su se stessi, sulle proprie forze. Sul proprio corpo, per l’appunto. Avere un corpo – occhi, mani, braccia, gambe, piedi – è possedere un basamento per star in piedi nel mondo. Un corpo, poi, quando si intreccia con un altro è l’arnese primordiale per diventare figli, padri, uomini e donne. L’ultima pietà, quando il corpo non sta più in vita, è quello di deporlo nella terra: riposi in pace (Amen). C’è chi muore in piedi, chi muore in battaglia, chi muore di vecchiaia. C’è anche chi, penso al mio grande amico Annibale Barca, il grande condottiero cartaginese, decide di porre fine al suo corpo, suicidandosi, pur di non cadere in mani nemiche. Dall’uso che uno fa del suo corpo, potranno anche risalire alla vastità dell’anima sua. Cristo, in fatto di corpo, non fu da meno. Somigliò più ad Annibale che al vecchio morto per vecchiaia. Non si suicidò, però: anticipò la cattura nemica nascondendosi in petti amici: «Prendete, questo è il mio corpo» (Mc 14,22)
Accadde che, appena seppe d’avere i giorni contati, giocò a nascondino di fronte a suoi amici, ai suoi detrattori, al mondo intero. Con la morte sul collo, si mise a scrivere il testamento più carnale che la storia abbia mai più letto: «Chi mangia la mia carne, beve il mio sangue rimane in me e io in lui». Fino ad allora se n’erano sentite di tutti i colori in questioni d’amore. Mai, però, tra amanti s’era giunti che uno dicesse all’altro: “Mangiami, masticami!” per dirgli quanto grande fosse l’amore accarezzato. Qui, dove mai nessun uomo o donna si era esposto, Cristo si fece apripista di una nuova misura d’amore. Mangiare è incorporare un territorio: per chi s’accosta all’Eucaristia, mangiare è incorporare Cristo, coi suoi misteri folli e bambini. Se il mondo è tutto un mangia-mangia, l’invito di Cristo è quello d’essere mangiato dagli amici. Che non abbiano più fame – «Chi mangia di questo pane vivrà in eterno» (cfr Gv 6,51-58) -, è questa la preoccupazione dell’Amore prima di lasciare gli amici da soli a guadagnarsi la giornata: che non abbiano a patire la fame, che non tornino a casa dicendo che non ha dato loro da mangiare. Una pagnotta strana l’Eucaristia: «E’ un segno ciò che appare – recita la sequenza nel giorno del Corpus Domini -: nasconde nel mistero realtà sublimi». Ricevuta, non si consuma mai: quell’avanzo di pane azzimo è Cristo in carne ed ossa. La quale cosa è buffa, anche assai bizzarra: per mesi ci siamo lamentati di non poterci accostare all’Eucaristia senza ricordare che, presa nel giorno della prima comunione, quell’Ostia non s’è mai usurata. Andavamo alla disperata ricerca di un tabernacolo dal quale prendere Dio e ci siamo scordati che quel tabernacolo eravamo noi, tabernacoli ambulanti in cerca di un Dio che già possediamo.
Il cristiano, dunque, lo riconosci da cosa mangia: «Uno non può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non ha mangiato bene» (V. Woolf). In fatto d’amore, Cristo non teme paragoni: non s’è mai spogliato del tutto, la sua nudità è una conquista lenta. Pur possedendone completamente il corpo, capita a tutti di conoscerlo appena-appena, sempre più lentamente di come si vorrebbe fare. Mostrarsi troppo nudi è autorizzare l’altro a giocare, o a fare del male: la nudità di Dio è un dono, una grazia. Eccola: «Il corpo di Cristo» (Amen. Grazie!) Nella mia infanzia, così semplice d’apparirmi di una solarità spaventosa, ricordo che la scelta del menù prevedeva solamente due opzioni: prendere o lasciare. Imparai lì, seduto coi piedi sotto la tavola, che con certi amori son soltanto due le scelte possibili: prendere o lasciare. Anche Cristo, la Carne da mangiare, si sottopone alla dura legge della nonna: “O mangi quello che ti ho preparato, oppure salti la cena”. Non era ferocia, era l’amore di chi voleva che i bimbi mangiassero bene. Per poi un giorno mangiare (da) Dio: e non aver più fame per tutti i giorni.
(da Il Sussidiario, 13 giugno 2020)
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Giovanni 6, 51-58).
Dal 3 giugno in tutte le librerie I gabbiani e la rondine (Rizzoli), il nuovo libro di Marco Pozza
La sofferenza, la rinascita, la bellezza nella Via Crucis che ha commosso il mondo.
Roma, 10 aprile 2020, Venerdì Santo. Nel pieno della pandemia, la Via Crucis celebrata dal Papa non si svolge in mezzo alla folla, nel Colosseo, ma nella piazza San Pietro deserta, sotto lo sguardo dell’antico crocifisso della chiesa di San Marcello al Corso. Le parole che risuonano nella notte della morte e del dolore provengono dalla parrocchia del carcere di Padova: a meditare sulle quattordici stazioni della Passione di Cristo è un’intera comunità di uomini e donne che abita e lavora in questo mondo ristretto. “Mi sono commosso” ha scritto Papa Francesco. “Mi sono sentito molto partecipe di questa storia, mi sono sentito fratello di chi ha sbagliato e di chi accetta di mettersi accanto a loro per riprendere la risalita della scarpata.” In questo libro, partendo dalle meditazioni sulla Via Crucis raccolte e scritte insieme alla giornalista e volontaria Tatiana Mario, don Marco Pozza ha costruito un racconto sulla fede e la risurrezione dei viventi: la Via Crucis di Gesù diventa così una Via Lucis degli uomini, la cui sofferenza è stata riscattata da Cristo in persona. “Mai celebrata una Via Crucis così” scrive l’autore. “Pareva davvero d’attraversare l’Odio desiderando l’Amore.”
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