Coloro che sono considerati grandi hanno la capacità di attirare e trascinare le folle, per poi mostrarsi magari scadenti a livello di contatti personali, nel tu per tu. Concentrati nei grandi progetti, amano le folle che riempiono le piazze, non le piccole persone con i loro piccoli problemi. I grandi non cercano confidenza e amicizia, ma fedeltà e obbedienza. Anche in questo Gesù Nazareno fa eccezione: trascina le folle, seduce i cuori ma quando tutti pendono dalle sue labbra svela un’attenzione puntuale per le persone. “E vide una povera vedova che vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino” (liturgia della XXXII^ domenica del tempo ordinario). In mezzo alla folla, aggancia il suo sguardo alla povertà onorevole di quella donna. Il Vangelo è pieno di uomini e donne che, dopo averlo incontrato, non sono più gli stessi, sono trasformati, cambiano radicalmente vita.
Seduto di fronte al tesoro del tempio, Gesù osserva come i tanti ricchi vi gettano tante monete: bravissima gente, davvero. Poi ecco sopraggiungere una povera vedova che vi getta appena due spiccioli. Gesù allora chiama a sè i discepoli per dire loro: “vedete? Quella povera vedova ha messo più di tutti gli altri, perché il molto degli altri è superfluo, mentre quel “poco” è “tutto quanto aveva per vivere” (Mc 12,41-44). Forse quella povera vedova non sapeva nemmeno chi fosse Gesù, eppure qualcosa dentro di lei la portava ad essere molto vicina al suo messaggio, tutto sommato non molto diverso da quello che gli scribi e i farisei le avevano insegnato. Probabilmente li aveva poco prima salutati con gratitudine somma per questo mentre a lei, quelli, le avevano divorato la casa. La vedova metteva in pratica quello che essi, professionisti del sacro, scimmiottavano con ipocrisia. E anche la vedova di Zarepta non era messa bene: appena “un pugno di farina nella giara e un po’ di olio nell’orcio”, nient’altro per sfamare lei e suo figlio quel giorno. Avrebbero mangiato e poi, chissà!, Forse non restava che morire. Eppure, con prontezza, si dimostra capace di obbedire al profeta Elia che chiede prima per lui quel poco, in cambio di un’abbondanza impossibile solo promessa.
Gesù di Nazareth era innamorato della bellezza perché, come nessun altro, sapeva che Dio ha creato il mondo, e soprattutto le donne e gli uomini, per donarci la sua bellezza. Per questo la sua bellezza è stata un impegno a recuperare la bellezza offuscata, minacciata, cancellata dalla malattia, dall’invalidità, dall’emarginazione, dalla morte, dal peccato. Era un talent scout specializzato nello scovare i gesti di bellezza e di sincerità nascosti nel mucchio delle volgarità, della banalità, della falsità. Fra i ricconi panciuti e impettiti che sfoggiano rumorosamente le offerte date al tempio, individua e addita a tutti la povera vedova che, zitta zitta, quatta quatta, mette nella cassetta due spiccioli. Questo è il Gesù dei Vangeli che vogliono rubarci: un uomo forte, battagliero, libero, ma tenero e amante della bellezza. Chi s’innamora di questi lineamenti sentirà un forte desiderio di amarlo e di seguirlo per imparare a guardare il mondo con i suoi occhi, farà di tutto per avere una vita bella e si dedicherà a recuperare bellezza da tutto ciò che la nasconde e deturpa.
Come fare? Il trucco è nascosto nelle mani di quella vedova: possiamo “giocare con la fede” o “giocarci nella fede”. Gli scribi giocano, la vedova si fa giocare. Gli scribi, cognati manco a dirlo dei farisei, sanno tutto della religione, giocano con la loro sapienza, si permettono di dare del poveraccio alla gente che, zoppicando, sta scrivendo la sua storia. La vedova, al contrario, butta sulla bilancia la sua vita e, avendo dato tutto quello che ha, gioca tutto quello che è: a Dio, con mano umile e leggera, dona i suoi spiccioli, le sue piccole monete, i suoi pochissimi talenti. E siccome sono pochi, li depone con delicatezza di donna nei vasi del tempio. Gettandoli svuota la sua vita, spalanca il suo cuore, gioca il tutto per tutto. Imbarazzante questa vedova, l’esatto contrario del giovane ricco. Di lui i vangeli tramandano la tristezza sul volto nell’attimo del rifiuto, anche se conosceva e osservava tutti i comandamenti. La vedova si mette in cooperativa con Dio e gioca assieme a lui i suoi poveri spiccioli. Furbissima, perché intuisce che le sue povere risorse fruttano l’eterno legandosi in cooperativa con il Signore. Cosa che fa subito screditando i calcoli notarili di chi le cammina attorno.
Ahi, non vuoi,
ti spaventa
la povertà,non vuoi
andare con scarpe rotte al mercato
e tornare col vecchio vestito.
Amore, non amiamo,
come vogliono i ricchi,
la miseria. Noi
la estirperemo come dente maligno
che finora ha morso il cuore dell’uomo.
Ma non voglio
che tu la tema.
Se per mia colpa arriva alla tua casa,
se la povertà scacciale tue scarpe dorate,
che non scacci il tuo sorriso che é il pane della mia vita
Se non puoi pagare l’affitto
esci al lavoro con passo orgoglioso,
e pensa, amore, che ti sto guardando
e uniti siamo la maggior ricchezza
che mai s’è riunita sulla terra.
(Pablo Neruda, La povertà)
Mi guardo allo specchio e questa donna – vedova, povera e magari un po’ poco seducente – mi sfreccia vicino senza possibilità di riscatto. Corre troppo veloce, è fuori dei limiti orari umani, verrebbe da multarla ma è vietato perché quella è la strada del Vangelo e lì i criteri di velocità sono opposti: o corri o la vita ti ritira la patente. Quella velocità mi fa paura perché mi urla che i sogni di Dio non accettano calcoli, chiedono di strappare la mia storia, di accelerare i tempi, di non vergognarmi del mio poco. Mi ricorda che non ci può essere fedeltà senza rischio.
D’altronde pure Dio s’arrischia anche oggi ad investire su di me.