Non era fancazzismo il loro, ma il semplice fatto che dopo avere risposo loro “Vi faremo sapere!”, erano scomparsi tutti. Avevano trascorso giorni a bussare alla porta delle aziende per consegnare il loro curriculum: quel giorno, l’ennesimo di chissà quanti, si erano un po’ demoralizzati. La gente che li vedeva confabulare mentre se ne stavano seduti in piazza – “Stiamo vivendo gli anni d’oro della disoccupazione, miseria?” dicevano tra loro –, vedendoli lì dal mattino, avevano persino iniziato a menarli per i fondelli: “Avete deciso che disoccupati volete diventare da grandi?” Non si accorgevano, i detrattori, che un uomo che non trova lavoro è lo spettacolo più sconsolante che una vita possa mandare in onda. Serviva del cuore perchè, scrutando quella malinconia, potessero intuire che il peggior mestiere è non averne alcuno. “Cosa ne pensate? – dicevano gli assistenti sociali affacciandosi dalla finestra del comune – Proviamo a ipotizzare per loro un accompagnamento psicologico per evitare che, in famiglia, accadano drammi?” Non si accorgevano, tutta-testa com’erano, che non servivano affatto lo psicologo: bastava un posto di lavoro.
In piazza era in atto comizio silente di chi aveva licenziato la fortuna per assenteismo.
Era d’autunno, la stagione della vendemmia. «Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie» (G. Ungaretti): si può cadere per terra da un momento all’altro, il vivere è tutto un (soprav)vivere irrequieto, precario, minacciato. Di quella vigna, forse, manco avevano sentito mai parlare: tutt’al più vedevano i trattori passare per la piazzetta, qualche agricolo fermarsi a tracannare un bicchiere di Lambrusco, avvertivano addosso tutta la vergogna d’apparire nullafacenti agli occhi altrui, non volendo esserlo affatto. L’umiliazione di essere padri senza stipendio, spolpati della pur minima dignità. “E fu sera e fu mattina”, per l’ennesima giornata. Poi, il giorno dopo, nell’ora più malinconica – ch’è quasi l’ora in cui i figli cercano il pane sul tavolo -, un passante si differenzia: vuol andare a fondo di quella loro insopportabile fatica di non fare nulla. Si accorge, vedendoli così, che la loro non è affatto una vita da “Adesso mi alzo” e poi nessuno si alza. C’è dell’altro, qualcosa di diverso, un non so ch’è d’affettivo. Chiede, dunque, il perchè: «Perchè ve ne state qui tutto il giorno senza fa niente?» Al giudizio saccente, antepone un interesse ignorante: perchè? Domanda da mille e una notte per gente che viveva in una notte-fonda, senza più notti adibite al sonno: «Perchè nessuno ci ha presi a giornata» gli rispondono. Colpo di genio! Chiedere è trovare una risposta al perchè. È scoprire di poter risolvere, senza alcun anti-depressivo, la cagione di quell’ansia che li condanna alla crocifissione dei gradini: «Andate anche voi nella vigna». Pronti-via: senza perdere un istante ad immaginare se quel lavoro piaccia o meno, sia stancante oppure rilassante. All’opera, subito.
Dopo poco prenderanno la stessa paga. La sorpresa sarà tutta loro: “Che signore quest’uomo. A me sarebbe bastato un cestino d’uva. E l’eccitazione di poter dire ai miei che me la sono guadagnata, oggi. Invece le stesse monete di chi ha un contratto fisso”. Sconcerto per gli altri, i mattinieri: «Un’ora soltanto, li hai trattati come noi». Rabbia, forse, bestemmia, ripicca, sguardi di insopportabile sopportazione verso gli ultimi arrivati: “Non hanno fatto niente tutto il giorno e se ne vanno come noi, gli idioti dell’ora prima” spettegolano, testa in giù. Quando sarebbe bastato che avessero guardato in faccia quelli del “turno delle cinque” per capire che anche loro stavano al lavoro dal mattino: un’intera giornata a mendicare lavoro, fiducia, una chance sperata. Ad incrociare qualcuno che, oltre al lavoro, offrisse anche uno stipendio. Fino alle cinque del pomeriggio, quando uno li assume nella sua azienda dopo un veloce colloquio di lavoro: “Portate con voi anche le ore passate a cercare un lavoro senza che alcuno si curasse di voi. Pagherò io anche quelle: ve le riscatto”. Ero bambino quando papà ha perduto il suo lavoro: quel maledetto giorno ho intuito che il “turno delle cinque” è il più molesto da vivere. È il più comodo da giudicare se non si trova il coraggio di chiedere il perchè. Lo stipendio è mensile (quando c’è), ma le spese sono sempre giornaliere.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi» (Matteo 20,1-16).