4894621-cuore-di-pietra-su-pietraIl brano dell’adultera (Gv 8,1-11) fa pienamente parte di quelli che è impossibile leggere senza subirne il fascino e la portata rivoluzionaria.
Di primo impatto, l’intento è quello di mettere in difficoltà Gesù stesso, spingendolo ad emettere una sentenza, senza possibilità di replica, a favore oppure contro la legge mosaica. Giusto per capire da che parte stia.
Ben presto, però, gli equilibri mutano notevolmente, fino ad essere – inaspettatamente – capovolti.

La legge di Mosè


Già il modo in cui la domanda è posta “La legge di Mosé comanda di lapidare questo tipo di donne. Tu che dici?”. In altre parole: “Osi mettere forse in discussione la parola di Mosé? Ma chi ti credi di essere?”.
Gesù coglie la friabilità di proseguire su un terreno come questo. Percorrerlo sarebbe stato semplicemente controproducente. Come mettere in discussione ad u israelita osservante un patriarca come Mosè? Sarebbe stato davvero troppo… preferisce fare una virata più dolce, per poter essere ascoltato, pur rischiando di essere frainteso e mal interpretato.
E venne il momento del celeberrimo «chi è senza peccato, scagli la prima pietra». Interessante vedere che, di fronte a questo monito, nessuno intraprende la discussione dialettica, mette in discussione le parole di Gesù o le confuta alla luce della Sacra Scrittura. Sono talmente prorompenti da non lasciare scampo.

La grazia che disarma l’impianto d’accusa


Disarmanti. In senso figurato; ma anche letterale, dal momento che gli accusatori lasciano cadere a terra le pietre che avrebbero dovuto (o voluto?) scagliare contro l’adultera.
Come al solito, (ad esempio, nella famosa parabola del Buon Samaritano), Cristo ribalta la prospettiva comune. Chiamato a giudicare una donna sorpresa in palese peccato (si parla, senza mezzi termini di quella flagranza di reato che è garanzia che non è possibile mala giustizia, in questo caso: la colpa c’è, è evidente e incontrovertibile); tutte le carte paiono, insomma, deporre a sfavore della donna, che sembra condannata senz’alcuna possibilità di appello né – tanto meno – di grazia.
Ma la grazia, per definizione, arriva gratis, proprio quanto meno te lo aspetti. Quanto tutto sembra perduto e ogni soluzione appare assolutamente impossibile. Quando anche i miracoli sembrano cose dell’altro mondo.

Parole di vita contro parole d’offesa


E dalle labbra del Verbo escono proprio parole che ri – danno vita a chi era ormai spacciata.
E dalle mani, le pietre cadono, pesantemente, sul terreno. Scivolano dalle mani, come oggetti ingombranti e ormai inutili. Le armi d’offesa diventano inutilizzabili di fronte alla graffiante verità delle parole pronunciate.

Un giudizio perennemente temerario

Nessun uomo può sentirsi davvero giudice, nei termini proposti da Cristo. Nessuno può sentirsi perfetto. Giudicare – e condannare – gli altri è sempre un’arma a doppio taglio. Spesso, è il perfetto alibi per evitare di guardare dentro se stessi. Come sottolinea Antoine de Saint – Exupéry, nel suo libro più celebre:

«È molto più difficile giudicare se stessi che gli altri, se riesci a giudicarti bene è segno che sei veramente un saggio»

Misericordia vincente

L’invito di Cristo è dunque a guardare a sé, prima che agli altri, ma naturalmente non si ferma qui: quando il trambusto è finito, quando ha finalmente la possibilità di guardarla negli occhi senza umiliarla, la invita alla conversione e a intraprendere, d’ora innanzi, la via del bene. La condanna non è applicata per dare modo di continuare per una strada diversa. Senz’appello, come rendersi conto, se l’errore è stato compreso oppure chi l’ha commesso intende proseguire? Stroncare una vita, umiliare, mettere all’indice, non dà possibilità di cambiare la situazione: cristallizza il peccato e vi imprigiona il peccatore. Gesù sceglie un altro metodo: apre una strada, lascia aperta una via e dà una seconda chance. La legge non è abolita, ma riempita di misericordia.

E poi?


È interessante vedere che è uno dei pochi casi in cui non sappiamo come va a finire “dopo”. Dopo tante guarigioni, spirituali o fisiche, abbiamo la conferma del cambiamento nella sequela concreta di cristo nel suo peregrinare oppure la “missione” di parlare del Regno ai propri paesani (è così, ad esempio per l’indemoniato di Gerasa). In questo caso, non abbiamo conferme a sostegno che Gesù ‘abbia fatto bene’: Gesù stima e si fida “a perdere”, senza assicurazione di avere successo, neppure spirituale. Si fida. Stima, sostiene, risolleva. Porge il suo aiuto non perché gli venga dimostrata gratitudine, ma perché è convinto del valore dell’uomo e della donna, persino quando si sono macchiate di peccato. Ama l’uomo nel peccato, avendo fiducia che possa essere meglio di come l’ha visto finora. È convinto che per sempre sia solo l’amore, non il peccato e che, magari con fatica, sia però sempre possibile risollevarsi, tornando a splendere.

Pietre del tempio e “pietre vive”


“Di tutto questo non resterà pietra su pietra” dice, del tempio di Gerusalemme, di cui preannuncia la distruzione. Ma il monito pare andare oltre. È un rischio anche nostro, di sgretolarci come pietre, se non riusciamo a leggere ciò per cui la legge di Dio è stata fatta: non si tratta di un modo per farci lo sgambetto o prenderci gioco di noi: contiene tutta la stima di un Dio che ci ama e che vuole vedere la nostra felicità.
Ecco perché ci chiama ad essere “pietre vive”, su cui costruire un edificio saldo, ma non con un peso eccessivo su stesso che ne minacci la possibilità di restare in piedi. La solidità della costruzione dipende da Cristo, non dalla nostra presunzione di ergersi, da soli, a giudici gli uni degli altri.

La “pietra angolare”


“La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo: una meraviglia ai nostri occhi” (At 4,11): con queste parole, Luca esemplifica, richiamandosi ai Profeti, la figura del Cristo. Che non è venuto ad abolire la Legge, ma a darle compimento, cioè a darle pienezza, riempiendola di Sé.Sembra quasi prendersene gioco, dal momento che arriva addirittura a farsi maledizione («maledetto chi pende dal legno»), salvo poi “fare nuove tutte le cose”, compresa la Legge, rinnovata nel suo Nome. Perché potessimo avere un nome da pronunciare, che fosse in grado di ridonare speranza anche agli occhi smarriti.

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