Nel film Qualcuno volò sul nido del cuculo, nella scena finale, Jack Nicholson, per guadagnare un po’ di soldi, fa una scommessa con i suoi compagni di manicomio: dice che riuscirà a sradicare un blocco di cemento dalle docce dei bagni. Il primo tentativo fallisce. Il secondo anche. La terza volta gli si gonfiano le vene del collo, gli occhi diventano di fuoco, ma deve resistere lo stesso. E mentre i compagni lo deridono, lui se ne va dicendo: “Ridete, ridete, però almeno io ci ho provato. Maledizione, almeno io ci ho provato”. Qualora dovessi scegliere anticipatamente l’orazione funebre da declamare il giorno della mia sepoltura (pur consapevole che esistono cose molto più piacevoli cui pensare), non esiterei a scegliere proprio questa frase. D’altronde in ogni competizione ci sono sempre due vincitori, mai uno solo: chi taglia per primo un traguardo o mette a segno l’ultimo punto e chi dà il massimo delle proprie possibilità.

gelo

Il freddo che in questi giorni sta investendo la nostra penisola, diventa una metafora incredibile della situazione che sta vivendo la nostra società: un’agghiacciante crisi che apparentemente sta costringendo tutti ad una supina rassegnazione, a sperimentare che il letargo – del quale la natura ci parla ogni anno in una maniera sublime – è sempre in agguato, nelle piccole come nelle grandi cose della vita. Cosicché anche stavolta la natura ci viene in aiuto: dopo ogni letargo c’è la possibilità di una nuova primavera, di un nuovo risveglio, d’avvertire che le forze si sono rinvigorite magari proprio nel momento in cui tutto sembrava morire. È dai tempi di Giuseppe – il cui bellissimo episodio è narrato nel primo libro della Scrittura – che i sognatori vengono beffeggiati e venduti come schiavi dai propri fratelli: eppure la forza di un sogno è stupefacente, nessuno oserebbe immaginare la sua forza d’urto che spinge ad un impegno straordinario. Per un sogno si è disposti addirittura a dare la vita. Oggi – paradossalmente incolonnati in questa strada a senso unico come ci vogliono far credere – all’uomo di speranza è rimasta solamente la forza dei sogni: trovare il coraggio di immaginare in grande ma guardando al piccolo della propria esistenza. In questo senso dovremo ribaltare quel vecchio proverbio che a lungo andare è diventato lo sponsor della rassegnazione: “errare è umano, perseverare è diabolico”. Forse figli e nipoti di una certa mentalità cattolico-colpevolista, abbiamo travisato appieno questo proverbio per averlo sempre e solo legato alla sfera del peccato o delle omissioni. Ma se a questo meraviglioso proverbio gli s’allarga l’orizzonte, scopriamo che non solo perseverare non è per niente diabolico, ma diventa il segreto per reggere il peso e la fatica della disperazione. Il vero lato diabolico è aspettare che la motivazione giunga dall’esterno, rimanere a braccia incrociate attendendo il colpo di fortuna, rinunciare ad impegnarsi a fondo in un progetto, arrendersi alla prima sconfitta. Perché se l’impegno e la motivazione rendono l’uomo capace di guizzi prodigiosi, diabolico è sprecare queste possibilità. A leggere bene la Scrittura, pure Gesù di Nazareth nella parabola dei talenti (Mt 25,14-30) condannò apertamente – e senza tanti riguardi – la mancanza di perseveranza del terzo servo: pure lui aveva talento ma l’ha sprecato nel modo più ignobile, sotterrandolo perché incapace di investire le sue opportunità.
Al freddo hanno sempre dato un connotato negativo: altro mistero inspiegabile. Come per tanti secoli si è pensato che il contrario di “sveglio” fosse “addormentato”. Oggi che stiamo sperimentando come “sveglio” sia il contrario di “rassegnato”, rivaluteremo anche la bellezza del freddo e del gelo. Che spesso, come in questi anni, c’impedisce di dormire per cercare di non fare addormentare proprio del tutto i sogni di Dio.
In questo senso se errare è umano, perseverare è angelico.

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