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Dopo German Madrazo e Pita Taufatofua (li ricordate nel 2018?) i Giochi Olimpici Invernali hanno un nuovo eroe: si chiama Benjamin Alexander. Dj di 38 anni, giamaicano, ha messo per la prima volta gli sci solo una manciata di anni fa, diventando di fatto il primo sciatore alpino del proprio Paese.
Restare impassibili, durante la sua discesa nelle due manche del Super Gigante, è stato impossibile. Più del distacco (abissale) dal resto dei partecipanti, più di tutto il resto, a colpirmi è stato il suo sorriso una volta giunto al traguardo. Quello di una persona che ha realizzato un proprio sogno, conquistato con fatica, ma soprattutto contro ogni logico pronostico.
Apriti cielo!
L’orda degli odiatori seriali, degli sportivi da divano, dei campioni di cinquanta-aperture-di-frigo non s’è fatta attendere. Insulti al limite di ogni buongusto e denigrazioni di ogni tipologia sono stati i commenti più tranquilli tra quelli che hanno invaso i social.
Ve lo chiedo con dannata sincerità: da dove vi arriva tanta cattiveria?
Quanto può avervi turbato la sua tenacia? Tanto. Quanto vi ha infastidito il suo sorriso? Tantissimo.
Ha rubato il posto ad altri atleti più meritevoli? No, secondo le regole olimpiche. Inutile che vi stracciate le vesti invocando fantomatici (e campati per aria) imbrogli solo per sentirvi migliori di lui, per potervi ergere a giudici e giuria.
Questa volta non mi dilungherò ad esaltare quel tipo di coraggio che ti fa inseguire un obiettivo apparentemente al di fuori da ogni portata. Non rimarcherò il fatto che già il partecipare, in questo caso, equivale ad una vittoria, a prescindere dal risultato finale. Niente discorsi edificanti, niente smancerie. Non più.
Sono troppo amareggiata nel constatare che, per alcune persone, la felicità altrui è una fonte costante di rabbia e frustrazione, da sfogare senza remore dietro ad una tastiera. Sono troppo arrabbiata nel vedere che il coraggio folle, audace, che non ha paura di sembrare ridicolo, è trattato alla stregua di un reato di lesa maestà. Come se quella discesa così incerta, così diversa da quella del resto degli atleti, fosse un insulto allo spettatore, mentre invece è stata un inno alla vita, un Carpe Diem coi fiocchi (di neve).
La normalità è (di nuovo) entrata a gamba tesa nell’olimpo degli atleti, non per sminuirlo, né per abbassare l’asticella della competizione in corso. Anzi, è certo che chi gareggia per i primi posti non verrà minimamente scalfito dall’evento. È infatti una normalità che parla a noi, non a chi lotta per salire sui gradini del podio. Sussurra alla nostra quotidianità parole d’incoraggiamento e di stima. E solo chi vive male nel proprio piccolo orticello, può avere il fegato di pretendere di poter sputare impunemente su quello altrui.

 

Fonte Immagine: Eurosport.

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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