Lo diceva Manzoni che «le parole fanno un effetto in bocca e un altro negli orecchi». Eppure, a guardarla, la parola è una delle realtà più minuscole che esistano: ha più sostanza, in natura, un pulviscolo di polvere della più articolata delle parole. La parola, poi, è soltanto una somma di lettere, infinitesimamente piccole, esili, di una fragilità enorme. Qualora, però, si alleassero tra di loro, acquistano spessore, diventano tridimensionali fino a trasformarsi in finestre. O in mura. La storia tramanda l’esistenza – ce ne saranno sempre -, di uomini e di donne che si sono fatti uccidere per delle parole delle quali, magari, non hanno appreso pienamente il significato: è bastato il sapore per lasciarsi ammazzare. Le parole, insomma, hanno un potere formidabile: certo che non sono azioni, ma se all’inizio della messa il fedele chiede perdono a tutti i suoi fratelli (presenti e assenti) per aver molto peccato «in pensieri, parole, opere, omissioni», allora una parola vale quanto una buona azione fatta. O no: omissione di parola!

Il destino delle parole, poi, dipende molto da chi le pronuncia: è ovvio che se a pronunciarle è uno che ha in mano un megafono, avranno molta più eco di chi le pronuncerà afono, balbuziente. La parola del Presidente della Repubblica ha molta più risonanza della mia: con tutta l’autostima che possiedo, non posso non ammettere tale evidenza. Per questo, non per una quisquilia morale, chi ha un qualche potere dovrebbe fare più attenzione di altri al peso specifico di una parola che viene usata. Sono giorni, questi, nei quali delle parole pronunciate da facce più o meno note, stan creando una risonanza feroce. Parole che portano a chiedere scuse, dimissioni, spiegazioni, ritrattazioni. Quando una parola, poi, va a toccare la dignità di qualcuno, è come poggiare la punta di una lama su un nervo scoperto: la reazione diventa più veemente, accesa, dura.

Di un’epoca storica, tante volte, si ricordano delle parole che hanno fatto la storia più di coloro che le hanno pronunciate: questi ultimi, se sopravviveranno, lo faranno nascosti nella potenza di quelle sillabe. In quanto poi alla valutazione di un’epoca storica, dicono di più le parole che non si usano rispetto a quelle di cui il mondo è abituato ad abusare. Anche di quest’epoca, che è la mia, resterà traccia nelle parole che pronunciamo. Resta il fatto che, in un’epoca nella quale la parola non è più di tanto rispettata, si muore sepolti vivi sotto una valanga di parole vuote: commenti indignati su commenti imbecilli su commenti tristi su commenti su. Sepolti sotto i commenti: che, non sempre, nascono da parole di poeti, artisti, filosofi. O, alla buona, di persone che, prima di parlare, sono andate ad informarsi del peso specifico di una parola. Che non è mai immune dall’eco.

(da Specchio de La Stampa, 16 luglio 2023)

2 risposte

  1. In questo periodo tutti parlano sentendosi chiamati in causa a fare commenti su tutti e tutto, è difficile pensare di cambiare le cose se non ci assumiamo noi tutti le nostre responsabilità su quanto diciamo e come agiamo noi e i nostri figli.

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