Parola e silenzio _ Jesus

Un sequel liturgico

Per comprendere il brano evangelico liturgico, proposto per la Domenica che segue la Decollazione del Battista, è necessario un piccolo passo indietro, per comprendere dove si collochi. Innanzitutto, dopo la morte del Battista, com’è immaginabile; ma si trova, anche, dopo un ulteriore, importante evento : l’invio (il primo, limitato solo ai Dodici, secondo la redazione lucana) in missione. In una sinfonia di parole e silenzi, emerge il turbamento (ma anche la curiosità) di Erode.

La missione

Ma in cosa consiste questa missione? Prima di partire, leggiamo che “diede loro autorità sugli spiriti maligni e il potere di guarire le malattie”1. In una parola: come abbiamo modo di vedere in un confronto con il capitolo precedente (in cui troviamo,a stretto giro due parabole2, un intervento sui fenomeni naturali3, un intervento sugli spiriti maligni4, una guarigione5 e una resurrezione6), con la grande eccezione della resurrezione – almeno, per ora!7 – i discepoli attuano i gesti e proclamano le parole di Cristo.

La domanda di Erode

«Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo (Lc 9, 9)

In questo punto, si ricongiunge il filo rosso della narrazione con la storia di Giovanni il Battista. Il cugino di Cristo. Quello che, all’epoca, era il predicatore più famoso. Che ricordava Elia, per la forza infuocata delle sue parole e della sua testimonianza. “Lui deve crescere, io diminuire”8 profetizzò il Battista. Perché così avvenne. Quando, cedendo al fascino della danza di Salome, Erode Antipa chiese la sua testa9, il vuoto lasciato fu riempito dall’emergere di Cristo, la cui predicazione instilla nuovi turbamenti nel cuore di Erode. Che sia un nuovo sobillatore di popolo, nella turbolenta “Galilea delle Genti”? E allora, come il piccolo Zaccheo, anche il governatore iniza a manifestare una concreta curiosità. Solo politica, o qualcosa di più? Intanto, è un inizio. E, nella vita, l’importante è sempre cominciare. Perché, dai piccoli passi, possono nascere grandi imprese.

In disparte

Nel frattempo, tra turbamento, stupore ed apprensione per un’inattesa novità nel cuore della Galilea, qualcos’altro si conclude. È la missione dei Dodici. Che, col cuore gonfio di commozione, si accorgono che, davvero, avevano camminato nel solco del Maestro e, nel suo nome, avevano realizzato quanto richiesto (predicazione, guarigioni). Al loro ritorno, la grande delicatezza. “Li prese con sé e si ritirò in disparte”10. Da soli, ma con il Cristo. A tu per tu, per un faccia a faccia. Perché l’entusiasmo non esasperi gli animi, facendo perdere lucidità. Perché la stanchezza del viaggio non si trasformi in accidia. Perché è bello, ogni tanto, guardarsi negli occhi solo per capire come va, per davvero.

Quanti avevano bisogno di cure

L’idillio, però, dura poco. Le folle lo cercano, lo seguono, lo trovano. Il carisma del rabbi di Galilea ha fatto breccia. Parole e segni; miracoli e guarigioni. Una voce autorevole, che persuade più dei dottori della legge. Uno sguardo, capce di scavare nel profondo e far emergere quelle ferite che necessitano di trovare cura nell’amore misercordioso d’un padre che solleva il bimbo alla propria guancia11.

Ecco, allora, che “vennero a saperlo e lo seguivano”. L’evangelista, tuttavia, ci tiene a precisare che Cristo guarisce “quanti avevano bisogno di cure”12.

Pochi, tanti o tutti?

Come interpretarlo? In senso restrittivo (solo chi aveva davvero bisogno) oppure, al contrario, estensivo? Si potrebbe anche dire: tutt’e due, sorprendentemente. In senso ‘storico’, sicuramente è avvenuta una selezione, quanto meno nel senso che, di certo, Cristo non ha guaritotutti quelli che, al tempo, necessitavano cure. Neppure tutti quelli che in Galilea (o, anche solo, nella città di Cafarnao) avevano desiderio e richiedevano la guarigione. Eppure… solo i malati guariscono. Un appunto che ci invita ad allontanarci da quel pelagianesimo strisciante che è l’illusione della propria autonomia ontologica. Cristo è necessario. Il solo necessario alla redenzione. Nasce per me. Muore per me. Sceglie me e cerca me. Sono anch’io nel numero di chi ha bisogno di cure.

«Nel nome di Cristo»

È questa la risposta dell’assemblea ambrosiana, quando il sacerdote la congeda. Risente della necessità di contrastare le eresie, legando i fedeli alla figura di Cristo, quale unico Redentore. Eppure è al contempo rivelazione del senso dell’assemblea stessa. È nel nome di Cristo che si riunisce. È nel nome di Cristo che si disgiunge, ma con l’intento di portare il “buon profumo” di Cristo nel mondo13. Perché come i Dodici, anche oggi, la Chiesa corre nel solco di Cristo, imitandone i gesti e perpetuandone le parole.

La vergogna

Anche san Paolo, nella sua epistola, pone l’accento sulle parole. Ne riceviamo un’ammonizione particolarmente severa, ma significativa:

«Di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare» (Ef 5, 12).

Che si rivela, del resto, ripresa di quanto esortava poche righe in precedenza:

«Di impurità, vizi e immoralità di ogni genere, voi non dovreste nemmeno parlare, perché non sono cose degne di voi che appartenete a Dio» (Ef 5, 3)

La forza della (P)arola

Neppure parlarne. Non è un po’ eccessivo? È necessario un linguaggio da educande? “La bocca parla della pienezza del cuore” (Mt 22, 33-35). Ma se dalla nostra bocca escono solo, in quanto ormai abitudine assodata, improperi e parole amare nei riguardi del nostro prossimo, di cosa, esattamente, è pieno il cuore? Possiamo facilmente intuirlo.

Parola incarnata

Come mai questa insistenza sulle parole? Non è così strano, se crediamo davvero che la Parola ha preso carne, si è fatta tangibile. Non solo lo crediamo. Lo percepiamo, perché la carne stessa ci parla di noi. Una parola ci abbatte. Oppure, ci rimette in piedi. È la parola a fornirci la conoscenza. È tramite la parola che intessiamo relazioni, comunicando tra noi pensieri, desideri, aspettative, emozioni, sentimenti. Ma è quando dalla parola ascoltata passiamo al contatto14 che abbiamo la possibilità di “conoscere davvero”.

Assertività ante litteram?

Alla luce di questa piccola riflessione, allora, possiamo quasi scorgere un anticipo di assertività. Spesso, infatti, ci domandiamo se non sia meglio evitare di continuare a fornire notizie di stupri o crimini violenti, perché, in una società come quella in cui viviamo, in cui pare che la regola aurea sia “che se ne parli male, purché se ne parli”, il rischio dell’emulazione sia alle stelle, pur di ottenere il famoso quarto d’ora di celebrità. Allora, ecco l’antidoto: dare rilievo al bene che c’è, che cresce in silenzio (spesso, anche: grazie al silenzio, quello prezioso, capace di custodire e proteggere), pudico, ma che, nel tempo, si radica in profondità come l’evangelico granello di senapa.


Rif. Letture festive ambrosiane nella I domenica dopo la Decollazione del Battista: Is 65, 13 – 19; Ef 5, 6-14; Lc 9, 7-11

Fonte immagine: Pixabay


1 vd. Lc 9, 1
2 Quella del seminatore, con annessa spiegazione (Lc 8, 4 -15) e quella della lampada (Lc 8, 16 -18)
3 La tempesta sedata (Lc 8, 22 – 25)
4 L’indemoniato di Gerasa (Lc 8, 26 – 39)
5 L’emorroissa (Lc 8, 43 – 48)
6 La figlia di Giairo, capo della sinagoga (Lc 8, 40 – 42. 49 – 56 )
7 In At 9, leggiamo, ad esempio, che Pietro risuscita una donna di nome Tabita
8 Gv 3, 30
9 Mc 6, 17 – 29
10 Lc 9, 10
11 Os 11, 4
12 Lc 9, 11
13 2 Cor 2, 14
14 Così avviene per l’emorroissa, che passa dall’aver sentito parlare di Gesù, al toccarne il mantello; ma lo stesso avviene anche per Giobbe, che commenta, alla fine: “ Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono” (Gb 42, 5). Cfr. F. ROSINI, L’arte di guarire, p. 188

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