Ricominciare è un verbo che mi piace assai. In realtà, lo ammetto, adoro e impazzisco per tutti quei verbi che amano ospitare la particella ri, offrendole una posizione appetibile, una sorta di prima fila, pure il tappeto rosso: (ri)cominciare, (ri)partire, (ri)cucire, (re)inventare, (ri)ascoltare, (ri)vedere, (ri)tentare. Re/ri è un prefisso che, nella grammatica, serve per indicare il ripetersi di un’azione che si è già compiuta: nello stesso senso, anche in senso contrario. Quando questi mi vengono incontro, mi pare di rivedere (per l’appunto) la mia nonna all’opera che, con ago e filo, (ri)parava gli strappi dei pantaloni, rammendava le toppe, stava tutt’intenta a rimettere a nuovo ciò che era andato sfilacciandosi. Fine della mia memoria fanciulla: una sorta di ammissione esplicita di amore per questi verbi.

Di tutti questi, però, ce n’è uno che nel tempo – senza manco che io me ne accorgessi –, sgomitando tra gli altri, si è posizionato in prima fila nel mio cuore: è il verbo ricominciare. Anche nella sua versione atletica: ripartire. Il verbo, sia che indossi un vestito o indossi l’altro, racconta dello stesso gesto: quello di chi, fermatosi all’improvviso per chissà quale motivo (o fermato improvvisamente da chissà quali cause) decide di ricominciare: é nella fine delle cose, se tu ci pensi, che si annidano i nuovi inizi, e tutto ricomincia. Io, di persone così, grazie a Dio ne conoscono più di una: son persone strane, capaci di ricominciare infinite volte, di reiventarsi senza farsi fregare dalla paura di sbagliare. Ammiro questa loro reinventiva: a forza di le loro storie mi stanno convincendo che si finisce per davvero quando non si ha più voglia di ricominciare. Certamente il carcere, non è difficile immaginarlo, ci ha messo del suo, a patto di pensarlo per com’è davvero, e non per come ce la raccontano: più di qualche volta è la terra dei ricominciamenti, delle ricreazioni. Lì, nell’umidità di storie raccolte in celle spoglie persino dell’essenziale, imparo anch’io (non senza fatica) a brindare alle porte che si chiudono, alle strade interrotte, alle storie che vanno in frantumi. “Madonnamia, con quei mostri: io non saprei da dove si possa ricominciare” mi dice, più di qualcuno, ogni tanto. Non è difficile, sapete: una mano (la mia) che si avvicina e accarezza il viso, la loro guancia che (imbarazzata) si arrende e si fa cullare. E’ il nostro modo naturale, anche biologico, di ricominciare. Tutto qui.

A me capita spesso, nel piccolo del mio cuore soprattutto: ci sono momenti nei quali non provo più nulla, aleggia un silenzio incolore, un vuoto atmosferico. Generalmente, per me, quello è l’attimo perfetto per ricominciare. Scrive Tolstoj: «Per vivere con onore bisogna struggersi, battersi, sbagliare, ricominciare da capo e buttare via tutto, di nuovo cominciare a lottare, perdere eternamente. La calma è una vigliaccheria dell’anima». Che poi, in carcere lo ripetiamo spesso, nessuno può ritornare indietro e ricominciare tutto daccapo: chiunque, però, può andare avanti, decidere quale sorte avrà il suo futuro. Sarà per questo che, ogni mattina, arriva il mattino: per raccontarci come si fa a ricominciare dopo il buio della notte. Di qualsiasi notte.

Nell’ultima stagione della mia vita, per cause di forza maggiore, tante volte mi sono chiesto da dove poter ricominciare. Me lo sono chiesto dopo essermi fatto l’altra domanda: “Si può sempre ricominciare, anche dopo un colossale naufragio?” Fare naufragio, chiedetelo ai marinai, non è mai un sogno: è piuttosto l’incubo, una variabile, una di quelle cose per cui vale la scaramanzia. Eppure, spesse volte, ci troviamo così navigati eppure così naufraghi: nelle difficoltà c’è chi nuota, chi si sbraccia, chi si aggrappa, chi affonda, chi riemerge. Le proviamo un po’ tutte in caso di emergenza. La vita è un mare aperto: in mare aperto, poi, la prima condizione per salvarsi da un naufragio non è il saper nuotare, ma il voler salvarsi. Non è così scontato, chiedetelo a Dante! La grande differenza tra gli abitanti del suo Inferno e quelli del Purgatorio non è la gravità dei loro peccati: in Purgatorio ha condannato gente che ha commesso crimini molto più gravi di chi sta all’Inferno. La differenza è altra, molto più fine: è tra chi accetta il perdono di Dio e chi ha rifiutato l’amore di Dio. Guardi i loro volti e ti appare evidente che «ci sono cose più naufragate in fondo ad un’anima che in fondo al mare» (V. Hugo). Volersi salvare, dunque: mica è poca-roba: c’è anche gente che, in pieno naugragio, si lascia andare. Rassegnata, vigliacca.

Ecco spiegato, forse, perchè le più belle storie d’amore cominciano sempre con un naufragio: perchè è solo naufragando che ci si accorge di cos’è davvero essenziale. Il tempo è un naufragio: solo quello che vale davvero torna a galla.

12 risposte

  1. sono di natura un animale neofobico come i cavalli, quindi il ripetere le consuetudini mi piace fin troppo, so che devo essere pronta ad uscire da questa zona comfort, che fatica però…. Forse devo semplicemente cambiare tattica e sguardo: invece del trauma del cambiamento devo associarlo a qualcosa di irresistibile: tipo trovare un nuovo vestito o semplicemente un nuovo modo di vestire gli stessi abiti di sempre🙃🤩 ah ah come non essere entusiasta di ricominciare da qui, disposta ad uscire da qualsiasi zona comfort per iniziare lo studio e la ricerca 😄😁😇🌻 adesso però torno in modalità stand by 😴😴😴🌃🌌💤🌻

  2. Grazie Don Marco per la verita’delle tue riflessioni.Grazie !Mi piace quel tuo modo schietto ed asciutto,ricco di profondita’reali nella vita di ciascuno! Grazie per averle condivise!Dio ti benedica! Gaetanina

    1. Sono cose che, per quanto mi è possibile, prima vivo e poi cerco di scrivere. Per condividerle con i nostri lettori.
      dm

  3. Meravigliosa Lectio….ne so qualcosa…dopo la morte di mia figlia di 28 anni….dopo avermela presa con un Dio e della Madonna che mi aveva voltato la faccia….sono Rinsavita….e ha permesso che Rinascessi alla vita ….grazie Don

  4. Don Marco. Sempre chiarissimo e diretto. Ti ringrazio tanto. Ho un periodo si, no, ancora si e poi di nuovo no.. Ma sono per il si, quindi riparto, riparto e riparto ancora. Buonanotte e sempre grazie 💕🙏💕

  5. Caro Don…. E del verbo Risorgere? Grazie, io non ci avevo mai fatto caso, sai? “Sorgere di nuovo”, Gesù Cristo, lo ha fatto in quella lontana Pasqua e da duemila anni continua a farlo, ogni giorno, in ogni cuore e in ogni luogo, e grazie ai frammenti di vita che tu ci fai assaporare dalla tua “postazione” … LUI il “risorto”, come il sole, può sorgere ancora e nemmeno le sbarre possono fermarlo! Grazie Don!

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