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Una strana congiuntura liturgica

Per un’insolita congiuntura, quest’anno la liturgia offre una pittoresca prospettiva: l’ultima domenica di Avvento coincide con la Vigilia di Natale, comprimendo il tempo di questa nostra attesa che precede una delle feste più importanti e teologicamente profonde del cristianesimo. E, in questo strano disegno del destino, contempliamo la parentela “imbarazzante” di Gesù.

Non solo nomi

Il primo capitolo del vangelo di Matteo non pare, al primo impatto, riservare rilevanti contenuti teologici. Anzi: quella sfilza di nomi è il terrore di tutti i lettori (che temono di sbagliarne la pronuncia) e invita a pensare a un noioso elenco, di scarso interesse per chi ascolta.

Un Dio che non teme le storie complesse

Se ci soffermiamo, però, sui nomi che compaiono, ci rendiamo però conto che non si tratta di nomi senza importanza, né banali. Scorrendo la “lista”, compaiono diversi problemi d’immagine per il Figlio di Dio, che s’incarna nella stirpe di Davide. Una lista insolita, anzitutto per un dettaglio. Al contrario di ciò che avveniva, all’epoca, abitualmente, per cui le genealogie contenevano unicamente le ramificazioni maschili, troviamo diversi nomi femminili, per di più dal passato non propriamente “candido” ed integerrimo.

Volti di tenerezza, compassione, umana debolezza

Possiamo cominciare con Giacobbe, che possiamo considerare quanto meno “controverso”, in quella sua difficile fraternità gemellare con Esaù: se quest’ultimo vendette la primogenitura per un piatto di lenticchie, è pur vero, che Giacobbe la ottenne con l’inganno, ordito in collaborazione con la madre Rebecca1.
Abbiamo, poi, Tamar, nuora di Giuda, che si finge prostituta per poter concepire con lui, alla morte del marito2.
Davide, poi, considerato il capostipite: sappiamo bene che, tra i suoi tanti pregi come la capacità di perdono, c’è il suo grande peccato con la moglie di Uria (grande non tanto e non solo per aver ceduto alla concupiscenza, bensì, soprattutto, per il modo ingannevole e fedifrago con cui ha fatto in modo di ottenerlo)3.
Vi è posto anche per gli stranieri, con Ruth, la moabita4.
Non ultima, Racab era una prostituta a tutti gli effetti, nota nella città di Gerico per il mestiere che faceva e passata alla storia come “collaborazionista”, dal momento che fornisce agli Israeliti informazioni preziose ed ospitalità, a loro che erano gli occupanti5.

Un Dio che sposa e ridona speranza

«Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» (Is 62, 4-5)

La “carrellata” di volti trova il proprio senso in una nuzialità che affonda le proprie radici nell’Antico Testamento. Dio sposo del popolo d’Israele, così come – più avanti – Cristo lo sarà della sua Chiesa. Un Dio che ridona speranza, perché sa vedere la fioritura, ove agli occhi è offerto solo il deserto. Eppure, ogni terra arida è promessa di una possibile fertilità. Nessuna donna è una prostituta, se gli occhi di chi guarda vedono in lei una sposa nel fiore degli anni.

Un coinvolgimento totale

Betlemme, Gerico, Nazaret, Moab. Nessun luogo è straniero per Dio. Nessun volto è così forestiero da non poter diventare ospite gradito. Anche una prostituta può diventare un ospite gradito. Un passato, a tratti indigesto, potrebbe far vergognare. Ma se il Figlio di Dio, nel venire al mondo, ha mescolato il proprio sangue con quello di straniere e prostitute, potrà mai esistere qualcosa che possa imbarazzarlo o – forse – a noi non resta che spalancare le braccia ed accogliere la grazia di un Dio che – da sempre – ci precede e – nel pensarci – ci ama, regalandoci l’esistenza?


Rif. Letture festive ambrosiane, nella VI domenica di Avvento, anno B
Fonte immagine: Pexels


1 Cfr. Gen 33
2 Cfr. Gen 38
3 Cfr. 2Sam 11.12
4 Cfr. Rut
5 Cfr. Gs 2; 6; 22-25

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