(lettera di un bambino al papà detenuto) Li ho sentiti parlare a ricreazione di Gardaland e parchi acquatici: qualcuno si vantava d’andare nella casa in montagna o al mare. I più fortunati – nel giorno della festa del papà – hanno detto che andranno tre giorni a Parigi, o forse Londra: per un un po’ di invidia non ricordo bene il posto. Mentre li sentivo parlare mi dicevo: “domenica io andrò in carcere a trovare papà”. Me lo sono detto senza che alcuno mi sentisse altrimenti sarei un po’ arrossito: come spiegare ai miei amici che papà non è a casa con noi tre ma sta rinchiuso in un carcere con le sbarre alte?
Così ho deciso di scriverti due righe, papà. Avevo cinque anni e avrei voluto anch’io parlare di cartoni animati e giochi all’aperto, di sfide alla playstation e corse nei prati: sono i discorsi che fanno i bambini a quell’età. Il mio vocabolario, invece, mutò d’aspetto: iniziai a sentire parole come “ergastolo, delitto, omicidio, colloqui, magistrato, sorveglianza, arresto”. Parole dure che non capivo perchè a me ufficialmente avevano sempre detto che papà era andato all’estero per lavoro. Fino a quando un giorno ho visto arrivare a casa una macchina della polizia e la mamma è stata costretta a spiegarmi tutto. Quella sera mi disperai perchè dopo aver perso il nonno sentivo di aver perso anche papà: non è facile crescere senza di te. E’ vero: gioco e sorrido, corro e ne combino tante, faccio i compiti e vado pure al campo da calcio. Però quando penso che a casa poi non ti trovo tante volte piango. Ricordo la prima volta che son venuto a trovarti: le sbarre, gli agenti, la perquisizione. Io volevo dire loro: “non faccio del male a nessuno, voglio solo stringere papà”. Perchè ogni volta che a scuola sentivo la parola “papà” dentro di me succedevano strane cose: provavo nostalgia e rabbia, paura di essere solo e voglia di scappare. Ma sopratutto mi chiedevo perchè proprio io avrei dovuto diventare grande senza le tue mani che mi coccolavano, la voce pesante che mi sgridava, quello sguardo tenero e severo col quale tante sere da bambino mi facevi l’occhiolino. Un giorno mi hai promesso che uscirai da quelle sbarre: mi hai scritto una data su un foglio e quel foglio me lo sono nascosto nel mio diario segreto. Ho fatto due conti con la calcolatrice della Benedetta e ho scoperto che uscirai il giorno prima che io compia 18 anni. Quel giorno saranno tredici anni che sei sparito da casa, ma almeno diventerò grande – come dicono i miei amici – sentendo la tua voce che mi dirà “buon compleanno, Giacomo”. Me lo dirai guardandomi negli occhi e non per telefono come in questi ultimi anni. Io so già cosa succederà quel giorno: piangerò perchè tu sarai comunque il papà più bello del mondo.
La mia vita sarà segnata per sempre dalla tua storia. Quando diventerò grande potrò dire d’aver imparato presto che le bugie hanno le gambe corte e che è meglio essere poveri ma dormire la notte piuttosto che viaggiare su una barca e provare paura quando suona il campanello all’alba. Io di te sono orgoglioso, papà. E sono orgoglioso pure della mamma perchè ogni volta che mi parla di te – sai che spesso la vedo piangere, però – vedo i suoi occhi che brillano. E’ grazie a lei se oggi io e Benedetta siamo ancora qui che ti aspettiamo perchè la mamma ci ha sempre detto: “papà un giorno avrà bisogno di voi”. E quando tu avrai bisogno, papà, sappi che noi ci saremo sempre.
Torna a casa presto, ti prego!