Un’altra città nella città. Quasi a dire al turista distratto, al cittadino abituato al suo scorcio di periferia: “C’è dell’altro dietro quello spazio. Immagina, puoi”. E la città cambia davanti agli occhi. Passeggiando per Padova in queste giornate di inizio estate, a colpirti sono affreschi di vernice che appaiono come agguati in luoghi inaspettati: un bambino che sogna lo spazio guardando le stelle nella via Castelfidardo, una gazza ladra all’Alì di Terranegra, la “C” romana di fronte alla Fiera, Cappuccetto Rosso al Cinema Rex. Si chiama «Super Walls» ed è un’idea geniale del gallerista Carlo Silvestrin. Ciò che appare, davanti agli occhi, è una sorta di città invisibile: finti spazi che non esistono. Son giochi di prospettive che sembrano veri. A Padova, la città dove Giotto si dilettò con la prospettiva e creò il genio dei suoi affreschi. Nelle periferie di Padova, dove l’assurdo quotidiano è trafitto come con un colpo di fendente da squarci di luce. La luce è la sostanza della pittura: illuminati a luce i sottoscala, la città apparirà diversa. Un’altra.
E’ in atto – su scala piccola e gigante – un tentativo di barbarie: le parole si tenta di farle diventare suoni, al pensiero viene (pro)messo filo spinato, le porte delle città minacciano d’essere chiuse. Torneranno i ponti levatoi? Chi comanda tenta di marchiare a fuoco la dimensione orizzontale: vero è ciò che vedi, buono è ciò che tocchi, bello è ciò che ti mostro. C’è anche chi sogna di lasciarsi vivere così. Non è il tutto, però: c’è dell’altro. Ci son altre voci che alzano la mano: son quelle dei visionari che, si badi bene, son tutt’altro che tipi astratti. Il visionario offre alle cose la possibilità di lasciarsi vedere per quello che sono davvero. Più ancora: lascia aperta la possibilità alle cose di sorprenderci, di trafiggerci. E’ certezza dell’arte la persuasione che sia necessario lasciarci sorprendere per poter essere veri. Per non farci bastare la prima immagine di ciò che s’avvicina allo sguardo. “Lei è geniale – si felicitò papà con uno scultore colto nel mentre scolpiva un legno di cirmolo”. E lui, facendo attenzione a non distrarsi, liquidò il suo genio in due battute: “La statua è già dentro, io devo solo liberarla”. Rimane la vittoria della curiosità sulla barbarie: chi è curioso è sempre in stato di parto, pronto a nuovi arrivi, disposto a nuovi approdi. Il potere teme assai i “curiosi”: i poeti, gli artisti, i visionari. Il potere della chiesa mal sopporta i mistici. Li odiano per quell’urlo che, in silenzio, vanno spargendo per le città: “C’è dell’altro in quel che vedete”. Continuare a scavare, mai sazi d’andare a scandagliare il reale.
Sotto la foto di uno di questi squarci di Padova pubblicata in un social, uno ha scritto: “Fosse per me, li farei pulire con la lingua quelle mura”. Il messaggio è duplice: a qualcuno la quotidianità sta bene grigia, (ri)trita, già masticata. Vita omogeneizzata. Un’altra idea, per negazione, avanza: l’acerrimo nemico della creatività – come anticipava Picasso – è il buonsenso. Dove per buon-senso chi gestisce il potere ama intendere il senso-comune: un significato pensato da uno che debba andare bene a tutti. Invece no: c’è dell’altro nascosto in ogni cosa.
(da Il Mattino di Padova, 16 giugno 2019)