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“Il seminatore uscì per seminare. Parte della semente cadde sulla strada, fu calpestata e gli uccelli la mangiarono. Parte cadde tra le rocce, germogliò ma inaridì per mancanza di umidità. Parte cadde tra i rovi, e fu soffocata dalle spine. Un’ultima parte cadde sulla terra buona, germogliò e fece frutto.” (Luca 8,5-8)
Presto, qualcuno vada a chiamare il padrone del campo, affinché licenzi questo contadino incapace e sprecone. I semi sono promessa di cibo futuro, speranza di sopravvivenza e tesoro prezioso da conservare e piantare con la massima cura. E invece eccoli gettati sulla strada, tra le pietre o tra i rovi, e quasi per caso sulla terra buona, come se il fertile campo fosse qualcosa dato in più e non la destinazione principale.
Anche ad un’occhiata poco esperta sembra che questo seminatore sia uno sprovveduto che sa fare di tutto, meno che il proprio lavoro. Roba da mettersi le mani nei capelli e piangere per quel ben di Dio sperperato con incoscienza. Come osa il Rabbi di Galilea paragonarlo alla Parola? Pensano e ripensano, gli apostoli. Ci mettono tutta la buona volontà, ma hanno menti ancora intorpidite dall’abitudine, ali da sgranchire, orizzonti nuovi da solcare. La Misericordia chiede di gettare ogni zavorra e di sciogliere gli ormeggi, per poterla incontrare col passo spedito dell’innamorato.
La mano del seminatore si tuffa nel sacco, raccogliendo i semi non a manciate misurate e precise, ma riempiendosi il più possibile. Sua è la sovrabbondanza che non lesina e che non teme penuria, che non ha paura di terminare le scorte. Anela a raggiungere ogni luogo, perfino il più inospitale, il più scomodo, il meno sensato. La terra buona è già di suo fonte di gioia e di speranza certa, sta lì, sotto i suoi piedi: non viene trascurata o messa in secondo piano, ma trattata con la stessa fiducia con cui vengono investite le rocce, le spine e la strada.

La Misericordia è un seme che non ha paura di fiorire tra le pietre. Accetta anche di lasciarsi avvolgere dalle spine, siano esse un rovo selvatico o una corona intrecciata in giorno di venerdì.

L’amore di Dio è un gesto che non teme di apparire avventato, se misurato con il metro della logica umana. Non si trattiene dinanzi ad una donna samaritana, seduto sull’orlo di un pozzo, rivelandosi con ferma dolcezza. Riesce a mettere le ali anche quando sembra che gliele abbiano tarpate per sempre, inchiodandolo ad una croce: tra cielo e terra dispenserà parole di perdono per i suoi aguzzini e di speranza eterna per un ladrone prossimo alla morte.
Ma prima del volo eccola là, la Misericordia, rasoterra o forse più in basso. Ad altezza di piedi. Tra polvere, fango e sporcizia. Trabocca, riversandosi su arti che ben presto correranno in tutte le direzioni. Una al rinnegamento, un’altra alla disperazione più nera, le altre qua e là, come un gregge senza guida ed una sola avrà il coraggio di farsi presso la croce.
La lavanda dei piedi del giovedì santo è Misericordia sotto forma di acqua che lava, di mani che toccano ed asciugano. Corpi fisici che si guardano l’un l’altro, dal basso in alto e viceversa. Non parole lasciate al vento, ma gesto concreto. Seme gettato nel cuore del prossimo, e perché esso diventi fertile terra quante rocce da togliere, quante spine da sradicare, quanta strada ancora da percorrere!
Ma nulla è lasciato intentato, fino all’ultimo momento, così come nessuno viene dato perso in partenza.
Non possiede il senso della misura, questa Misericordia.
Via ogni bilancia di precisione, abbasso qualsiasi dosatore.
Quanto amore ci vuole per toccare il cuore di un uomo? Quello che serve.
Per qualcuno basta un abbraccio, per un altro un fiume di lacrime, per un altro ancora serve la fermezza della goccia che poco alla volta sa scavare anche la pietra più dura.
Sulla lavanda dei piedi da parte di Papa Francesco, ancora una volta tra i carcerati, è stato detto e scritto tutto ed il contrario di tutto. Dall’accoglienza ricca di entusiasmo al grido di allarme intriso di scandalo, dall’ammirazione alla denigrazione più totale.
Sono state tirate fuori dalle credenze bilance e misurini, metri e contenitori, sono stati sottoposti a giudizio dosi, tempi e modo di somministrazione, con cipiglio severo ed inflessibile. Senza accorgersene, c’è chi ha fatto la figura del bambino che pretende di contenere il mare dentro una conchiglia, calcolandone i confini e la quantità, dell’esperto che rimprovera il Seminatore e poco ci manca che minacci di licenziarlo perché si occupi solo del campo e lasci perdere tutto il resto. Accade quando il gesto liturgico viene spogliato di parte dell’amore che lo ha originato e a dirla tutta somiglia parecchio ad un’automobile che procede con le ruote sgonfie.
La Misericordia non è misurabile con occhi d’uomo. La si può comprendere solo osservandola dal punto di vista di Dio stesso, per il quale – proprio perché Padre – ogni essere umano è un figlio amato con cui desidera l’incontro, qualsiasi siano la sua lingua, la sua provenienza ed il suo vissuto. Sono semi che potrebbero cadere sulle pietre o sulla strada, forse ben lontani dalla terra buona, ma ognuno di essi può essere capace di germogliare anche là, contro tutte le previsioni. 
In fin dei conti, se ogni cuore d’uomo fosse un fertile campo dove starebbe l’impegno di colui che gli è prossimo, del seminatore che si trova in ognuno di noi?

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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