New York, ore 9.40 – in Italia saranno le 15.40 perché da qualche ora anche qui è sbarcata l’ora legale (comodo: i maratoneti hanno potuto dormire un’ora in più, 4 o 5 o 6 al massimo, comunque). Scatta l’edizione 41 della corsa più famosa al mondo, non la più antica (quella è Boston) non la più ricca (Berlino e Londra non scherzano) ma la più partecipata e la più desiderata. Senza dubbio.
Davanti a tutti un manipolo di top si contende il successo (e 150.000 dollari di primo premio) mentre tutti gli altri inseguono un piazzamento piuttosto che un tempo che va dalle 2.30′ alle 7 ore. Noi schieriamo alcuni ragazzi e un prete, don Marco (che qui è anche don Camillo, quando divento Peppone) che ha vissuto le ultime 48 ore sull’otto volante. Stritolato dall’emozione e dalle nuove conoscenze, dalla scoperta della città e della gara al dover parlare davanti a una telecamera che registra il suo pensiero per un dvd che nascerà insieme a un libro. Lavora ma pensa alla gara, prepara il libro e pensa alla gara, mangia, riposa e sogna ma pensa alla gara.
Mentre scrivo dorme. E’ tutto pronto ormai, la cena insieme agli amici di Piacenza e Crema, a Elena e Paolo e tutti gli altri. C’era anche Pier – che pure torna a misurarsi con una 42,195 – ed anche lui ha contribuito a rilassare l’animo di don Marco, che nel pomeriggio ha rinviato anche l’appuntamento con la messa del sabato perché sentiva la febbre. Era caldo, era stanco. L’ho chiuso in camera, a pregare per una volta ho pensato io.
E mi sono gustato una messa straordinaria, che vale tanto per chi crede ma che è stata davvero uno spasso, una lezione anche per chi ha dei dubbi. Sembrava che ci fosse don Marco all’altare, invece era un altro prete runner, il reverendo Tyrrel, che questa mattina sarà pure al via. Tra qualche battuta e i richiami al vangelo, alle lettere di San Paolo ed altro… ha paragonato anche lui la maratona alla vita. E si è mosso abilmente sul paragone: “Ci siamo allenati per mesi a questo appuntamento, affinando le nostre capacità, per esprimere il meglio di noi stessi per esaltare il dono che Dio ci ha fatto. La vita è la stessa cosa, allenarsi ogni giorno, farsi trovare pronto per le sfide che ci propone e superarle, affrrontarle con tutti noi stessi, con quello che la grazia di Dio ci ha messo a disposizione… Domani saremo tutti esaltati, entusiasti e caricatissimi al via, come tutti la mattina… ma potremo dire la stessa cosa al 20° miglio? e al 22°? Chi ha lavorato in queste settimane, chi ha avuto ed ha fede in sé e nelle grazie ricevute saprà trovare il modo migliore per esaltarsi e vincere la sfida…” La traduzione è appena libera, ma il senso è quasi esatto.
Pomeriggio piacevole. Un pomeriggio piacevole anche per aver incontrato tanti runner, molti anche di voi del blog, alla riunione tecnica di Born to Run. Dove il gran maestro Fulvio Massini – al quale ho consegnato le vostre iscrizioni per Firenze, il 28 novembre: tutto ok – ha officiato in questi giorni e dove ieri oltre a Stefano Baldini, ormai uomo del gruppo, è passato anche Samuel Wanjiru. Così davanti a centinaia di persone due medaglie d’oro in maratona, le ultime due, hanno esaltato cuori menti. Domattina sarà una mattinata eccezionale, per chiunque, perché una corsa non è solo cronometro. Anzi, è molto più di un cronometro perché tra qualche anno i tempi, i passaggi, il traguardo e l’orologio sfumeranno ma il ricordo, le sensazioni, le emozioni, gli sguardi e gli abbracci saranno ancora saldi nella memoria di ciascuno di noi.
Ecco perché oggi, esordendo da spettatore a New York, insieme a curiosità e soddisfazione ho anche una strana invidia. Ho voluto io essere dall’altra parte, e non me ne pento perché so che il mio fisico non era pronto. Ma il cuore voleva indossassi scarpe e pettorale per un’altra avventura e tra qualche ora vivrò una strana maratona. Mi sfogerò, raccontandola. Sin d’ora, mentre don Marco riposa e raduna le sue energie dopo aver appoggiato maglietta e calzoncini sul mobiletto insieme al libro delle preghiere e il rosario, proprio lì sui guanti a due passi dalle scarpette gialle e rosse. Il suo essere prete, innamorato di Dio è nei piccoli gesti e negli sguardi, nelle parole scelte con cura quando serve – sia per scuotere sia per consolare o anche solo per spiegare -. La mia maratona la correrà lui, oggi Peppone (ancora una volta) farà il tifo per don Camillo, proprio come i personaggi dell’incredibile e straordinario, inimitabile Guareschi.