Nel paese delle parabole, in questa città immaginaria creata da Gesù di
Nazareth sbocciano le meraviglie, germoglia la parte della vita di Cristo che
più affascina, intristisce, incuriosisce. Qui abitano i fantasmi del suo
pensiero, le trame, gli uomini e le storie che ha inventato. Qui, come nelle
vecchie favole d’un tempo, può parlare con tutti: anche con la pecora, anche
con la rete da pesca, i fili della zizzania, le perle e le monete, con le
cinque fidanzate stolte che si son addormentate nel gran profumo notturno, con
i prati di trifoglio lucidati dal vento, con le nuvole che scendono a
impigliarsi nei faggi, con il cammelliere, la vedova e il ragazzo delle
lentiggini.
Una parabola mi piacerebbe ascoltare dal vivo. L’unica parabola
raccontata senza la gioia di giocare con le parole, di tessere ricami, di
ammansire di dolcezza. Raccontata con uno sgomento che solo una madre, fosse
stata rannicchiata a quei piedi esausti, avrebbe colto. C’è profezia, forse
perché in quel cuore così aggrappato alla dolcezza di quei giorni, s’illuse che
quella favola gli salvasse la vita.
"Un uomo piantò una vigna…". Pesca nell’antichità Gesù…
va ad agganciare il filo della sua memoria allo splendido passo cantato dal
profeta Isaia nella prima lettura. Gesù e i suoi vignaioli: una storia di
diversa eleganza, di opposta bellezza, di drammatica opposizione. Nelle loro
mani… i loro sogni! Il padrone ha le mani che operano con efficacia: la sua
vigna… l’aveva vangata, sgombrata dai sassi, piantato viti scelte, costruito
una torre, scavato un tino. I suoi vignaioli hanno mani ladre (non consegnano
il frutto al padrone), invidiose e omicide.

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"Da ultimo mandò loro il
proprio figlio dicendo: avranno rispetto di mio figlio!"
. Gesù pensa tra sé prima
di mandare il suo Figlio. I vignaioli riflettono tra di loro su quel Figlio.
Tutti e due, padrone e mezzadri, si rendono conto della qualità speciale di
quel Figlio: si tratta del Figlio stesso del padrone. "Egli spettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica"
anticipa millenni prima l’occhio lungimirante di Isaia. E i vignaioli avverano
quell’anticipazione: "Costui è l’erede.
Uccidiamolo, e avremo noi l’eredità"
. E’ la sorte dei giusti, è la sorte
dei profeti, è la destino atroce ma fecondo di chi s’accorge che profezia è
rivolta non conformismo, è gridare quando tutti tacciono, è piangere quando
tutti ridono. E’ aspettarsi rovina quando tutti gridano "pace e sicurezza" (1 Ts 5,3). L’ira di Dio è l’aspetto più
scandaloso della rivelazione biblica, quello che cerchiamo ogni volta di
eludere.  Dio si mette dentro ad un fiume
di continuità: è il destino di tutti i profeti. Non è estraneo alla storia dei
giusti, ma le ha dato un significato rivivendola e ripetendo il loro martirio.
Ma il Dio dell’ira e il Dio di tenerezza e di pietà sono l’unico Dio, quel Dio
che si è manifestato a noi con scoppi di pianto, di amore e di gelosia. E’
proprio la folle scelta di quest’amore per l’umanità a condurre Dio nel gorgo
dell’ira negli ultimi giorni. Proprio perché nascosto dentro la compassione,
Dio può, ad un certo punto, ribollire di collera.
La bontà delicatissima di Dio, l’infedeltà ignobile e misera
dell’umanità. Ci sarà un momento in cui le spade verranno trasformate in vomeri
(Is 2,4), ma ve ne saranno anche altri – ci ricorda il profeta Gioele – in cui
è necessario che le zappe diventino spade e le falci lance (Gl 4,10).
Ma non è la fine… perché Dio possiede il segreto arcano di ricominciare.
Sempre. Ad ogni istante. "Vi sarà tolto
il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare"
. Chi
altri? Non noi. Chissà chi. Chissà dove. Forse a chi non lo conosce, non lo
incensa e neppure lo nomina. Ad altri nelle cui mani la vigna diventi una cosa
immensa e gloriosa: un regno. Lo nasconderà nelle mani del mercante entusiasta,
lo darà alla donna che sa far lievitare la sua pasta, lo darà all’uomo che
confida nel granello di senapa. Farà proprio così, perché questo è il profumo
della speranza che pervade tutta la Scrittura: Dio deve intervenire attraverso un
gesto forte, improvviso e risolutivo. Ma
fino a quel giorno la fede altro non sarà che una ferita aperta, un grido
lancinante, un’invocazione povera e nuda.
E anche il tema del giudizio finale
passeggia tra le righe della parabola raccontata da Gesù Per questo diventa un
ammonimento. Dio è fedele, il suo amore è paziente, ma conosce anche la verità:
i contadini cono puniti e la vigna passa ad altri. Il giudizio finale mostra
che Dio tiene in considerazione altissima la responsabilità dell’uomo perché la
pazienza di Dio non cancella tutta la potenza della libertà dell’uomo. Ma anche
qui, Gesù di Nazareth, svela il suo volto di profeta di speranza. L’ultima
parola non è la minaccia, ma la speranza: "La
pietra che i costruttori hanno scartata è divenuta testata d’angolo"
. Non
verrà distrutta la vigna, non cesserà di essere a disposizione dell’uomo. Ci
sarà un cambio di gestione… perché quel Padrone sogna che quella terra sia
lavorata da mani desiderose di renderla un capolavoro di bellezza: "La terra darà frutti, diecimila per uno.
Ogni vite porterà mille tralci, ogni tralcio mille grappoli, ogni grappolo
mille acini, ogni acino spremerà centinaia di litri di vino"
(Apocalisse
siriana di Baruc).

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Perché tutte queste storie, Gesù? Queste storie – sembri rispondere
– che tu uomo ricordi circonfuse in un
alone di dolcezza, sono state maledizioni e sfide. Ai benpensanti, agli aridi,
agli oppressori, ai farisei di tutte le pelli. Fa ancora il giro del mio paese.
Guardali in faccia. E’ contro il loro peccato che mi sono battuto, che mi
batto, che mi batterò fino alla fine dei tempi.
Guardali in faccia. Sui loro volti ho nascosto la soluzione di mille tuoi
affanni, le loro storie hanno anticipato la tua. Vignaioli e mercanti, vergini
sagge e fattucchiere, contadini e pezzenti, pescatori e dottori… tutti
disturbati per parlare di te. C’è tutto…

Ti ho regalato tutte le risposte.
Ma tu, caro uomo, tieni ancora la domanda?

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