Il Signore disse a Mosè: “Va’, scendi perché il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati, e hanno offerto un sacrificio e hanno detto: Ecco il tuo Dio, Israele; colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto”.Il Signore disse inoltre a Mosè: “Ho osservato questo popolo e ho visto che è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira s’accenda contro di loro e li distrugga. Di te, invece, farò una grande nazione”. Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e gli disse: “Perché, Signore, divamperà la tua ira contro il tuo popolo che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto con grande forza e mano potente? (…) Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutto questo paese, di cui ho parlato, lo darò ai tuoi discendenti, che lo possederanno per sempre”. Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo. (Esodo, 32,7-14)
Una colonna di fumo e un eroe tragico
C’è un deserto sulle cui sabbie scivola lenta la vita di un popolo, un popolo qualsiasi, un popolo diverso da tutti gli altri. Nell’immensità di quelle distese ubriache di solitudini, di stelle e di cammelli, ci sta il loro accampamento. Piccolo rifugio, oasi di ricordi e d’eternità, entro la quale addormentarsi dopo una giornata di duro e assolato cammino.
C’è un deserto da attraversarme, c’è una terra da conquistare, c’è una patria da trovare. Loro, schiavi fino all’altro giorno degli egiziani, abituati ad avere il ventre pieno attorno al fuoco, alle pentole fumanti e alle cipolle faticano a guardare con speranza oltre quelle distese di sabbia e di silenzio. La loro speranza riposa tutta in quel vecchio pastore, balbuziente e timido di nome Mosè. A lui, tragico eroe di una storia maledettamente diversa da ogni altra, il Signore ha affidato la scommessa di far assaporare all’animo di quella gente il profumo divino della libertà. Ma di fronte al richiamo di una speranza da abbracciare, di una libertà da cui lasciarsi avvolgere, preferiscono la schiavitù. Loro, accompagnati da Dio attraverso il Mar Rosso, saziati da una manna che ogni mattina li rinfranca, preceduti da una colonna di fumo e di luce, alla prima fatica cedono. Si ribellano, mormorano, protestano, si costruiscono un vitello d’oro. Schiavitù è sicurezza, per quel popolo desolato.
Ma Dio non ci sta! C’è un popolo che si ribella. C’è un Dio intestardito nel farla finita. C’è un pastore ignaro delle rotte tracciate nelle praterie della sua vita.
La balbuzie che confonde l’eloquenza
Nulla d’eccezionale in quell’uomo rozzo e abbrustolito dall’aridità del deserto.
Pastore, perché pascolava greggi di Ietro, non ancora suo suocero. Dimostra di conoscere l’arte di fare il pastore perché i pastori migliori sconfinano verso il deserto, ne tentano i bordi. Se qualche raro temporale grulla un po’ di nuvole sulla steppa, è bene essere pronti ad approfittarne. I pastori come Mosè sentono la pioggia a molte miglia, fiutano l’odore della terra risvegliata. Mosè fiutava pascoli d’occasione, faceva lunghe tappe sui fianchi del deserto. Fu attirato da un fuoco, da un cespuglio che bruciava. Ma prima, verso l’Horeb, si diresse per l’odore della pioggia. Eccezionale nell’annusarla, un naso prodigioso a compenso del difetto di lingua. Balbuziente. Però dai giri solitari se ne tornava col bestiame grasso. Dei pastori di Ietro era il migliore. Prova è che ne sposò la figlia Zippora.
Pastore vagabondo, la Scrittura Sacra racconta i vagabondi. E’ il biglietto da visita dei raggiunti dalla voce di Dio. Abramo ascolta il “vattene” (Gen 12,1) di Dio, inizio di percorsi e di spaesamenti senza fine. I vagabondi sono i preferiti, pastori esploratori di latitudini, anziché di campi recintati. Loro sanno che i confini stabiliti dagli uomini sono l’opera più ridicola in natura. A loro, pastori, va incontro la voce di Dio. Nessun altro può intenderla. La voce di Dio infila un corridoio del suono che sbuca nell’udito di uno solo.
Pastore vagabondo nel deserto. Dio colpisce Mosè nel deserto, Dio porta gli Ebrei nel deserto, la preghiera avviene sempre in un’estremità del campo: “E li condusse al suo confine santo” (Sal 78,54). Non li chiama nel frastuono della città, nel caos di un mercato, nella tristezza della confusione, nel centro di una città, nella piazza di un villaggio ma nell’isolamento inospitale del vento e della polvere. Nel deserto: perché questo è il luogo fisico della preghiera. Il credente attorno a sé avverte “terra bruciata” e così fa germogliare l’incontro.
Tra le righe del testo sacro
La liberazione dalla schiavitù dell’Egitto rappresenta per il popolo d’Israele quello che il Vangelo rappresenta per un cristiano: il grande gesto di Dio che sostiene e disseta la fede e la speranza. Il libro dell’Esodo narra la dura schiavitù di Israele in Egitto, l’intervento salvifico di Dio e la lotta contro il faraone, il passaggio attraverso il Mar Rosso e, infine, la lunga peregrinazione del popolo tra la sabbia del deserto. Splendido! La salvezza di Dio è un viaggio, faticoso e non senza tentennamenti, dalla schiavitù alla libertà.
Tre grandi fotografie brillano nella storia che racconta l’avventura di Mosè.
Il popolo è stato liberato dall’Egitto, ha assistito alle grandi meraviglie di Dio, ma è ancora aggomitolato nei tentacoli del peccato. Nel silenzio del deserto il popolo si costruisce un vitello d’oro, un dio strumentalizzabile, a loro misura. Privo d’acqua per sé e per il bestiame, il popolo protesta e pretende. Non prega (come invece farà Mosè), non chiede, ma pretende e reclama come chi pretende di accampare diritti. E continua: “Perché ci hai fatto salire dall’Egitto?” Mormorare significa mettere in dubbio la bellezza e la validità di ciò che Dio ha compiuto. Di fronte alla fatica della libertà nasce la nostalgia della schiavitù! E Dio non ci sta a questo tradimento.
Mosè interviene ed è grande la forza di intercessione che esce dalle labbra del suo cuore. Egli non fa una lunga preghiera, studiata, ricercata, ricamata, commovente. Semplicemente balbetta al Signore: “Ricordati!” Dio ha fatto una promessa, non può dimenticarla. Ha iniziato un cammino di liberazione, non può lasciarlo a metà. Mosè invoca la storia perché quello è il cantiere di Dio. Chi come lui crede che gli eventi abbiano un senso, una direzione finale, non crede allo spreco della storia. “Non buttare la tua storia, Dio” – questo dice Mosè. E poi la follia coraggiosa e inaudita nascosta nel cuore di Mosè. Guarda in faccia il suo Dio e gli urla: “Pèntiti”. Assurdo. Usa l’imperativo perché qui c’è qualcosa di improrogabile, c’è un’urgenza che assedia il cuore di chi implora fino all’ingiunzione. “Ricordati Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco, non dimenticare il loro volto” (F. De Andrè, Smisurata Preghiera)
Mozzafiato il comportamento di Dio! All’inizio Dio si rivolge a Mosè dicendo: “Il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto, si è pervertito” Non dice: “il mio popolo”. Sembra quasi che Dio rifiuti di aver amato d’amore materno Israele. Ma è solo apparenza! Gli basta la preghiera di Mosè per tornare a perdonare. Nel finale ritorna una brezza d’amore: “Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo”.
C’è una nube a guidare di giorno la rotta della loro vita tra le dune del deserto, c’è una colonna di fuoco a frantumare le tenebre della notte, c’è un mare attraversato, una manna come cibo, ma basta un nuovo imprevisto per rimettere tutto in discussione.
Dalla titubanza alla lotta con Dio: la trasformazione di un pastore
Afferma lucidamente Origene, sommo padre della Chiesa: “Non credere che questi avvenimenti si siano compiuti tempo fa, ma che per te che oggi ascolti non avvenga nulla di simile. Tutto si compie in te…”. Siamo nell’Egitto, terra di deserto e di sabbia, di città e di solitudini, di terre fertili e terre bruciate dal sole, terra di confusione spirituale. Qui campeggia – a volte solitaria, a volte immersa nella folla – la potente figura di Mosè, il personaggio principale del libro dell’Esodo (ma anche del Levitico, dei Numeri e del Deuteronomio). E’ la figura centrale, quella che illumina e dà consistenza a tutti i rotoli di papiro e di profezie di cui si compone l’Antico Testamento. Lo supererà solamente la figura di Gesù Cristo!
E come tutti i grandi personaggi della Scrittura, la sua storia – nel laboratorio di Dio – è scarabocchiata, scritta e ri-scritta dalle sue mani fantasiose con un’infinità di sfaccettature e di colpi d’artigiano. Di questo profeta lasciamoci avvolgere da tre pennellate che raccogliamo nelle pagine che parlano di lui.
L’uomo del crocevia – Mosè è un uomo che ha la passione per la giustizia e non tollera il sopruso. Ma è una vocazione difficile perché attorno a sé vede germogliare il vuoto (è il prezzo che tutti i profeti dovranno pagare), incontra l’ostilità del faraone e la durezza del suo stesso popolo. Il profeta che denuncia, dovunque si trovi, non piace a nessuno, né ai padroni né agli schiavi. E’ solo, Mosè. Ma la sua debole figura è l’unico crocevia in cui il cielo e la terra rimangono abbracciati. Un amore accecante se quaranta giorni dopo la sua permanenza sulla montagna splende la pelle del suo volto! Quando Dio costruì la scommessa con Noè c’era sullo sfondo un’umanità distrutta da ricostruire. Quando Dio disturbò la vita ormai vecchia di Abramo c’era da cancellare la confusione della torre di Babele. Ora che Dio compone la sfida di Mosè c’è una schiavitù da fuggire. Sempre la stessa musica! Dio custodisce gelosamente la passione di ri-cominciare. Sempre! La pelle insecchita di quel pastore diventa il luogo di scambio tra un prezioso pugno di umanità e il Dio che si è voluto rivelare proprio a loro. E’ un dialogo d’amore e di collera, di seduzione e di rabbia, d’eternità e di finezza ma anche l’ultimo lettore sente che nessuna delle due voci può fare a meno dell’altra.
Il pastore sconvolto – E osservate la tecnica. Da brividi! Mosè non sta andando in cerca di Dio, sta semplicemente portando al pascolo il gregge. E’ sempre Dio che inizia, spinto da compassione e fedeltà: “Ho osservato la miseria del mio popolo e ho udito il suo grido”. E chiama Mosè quando è debole, fuggiasco, il meno adatto. Missione difficile di fronte alla quale splendono le paure e i limiti di un pastore. Pazzesco: le chiamate divine non prevedono un addestramento, esigono lo sbaraglio. La Scrittura riferisce più volte lo sgomento che prende i convocati della profezia. Ma la debolezza è rinfrancata: “Io sono con te!”. Dio non lascia solo chi chiama, ma fa strada assieme! Chiamato per nome Mosè ricevette un ordine preciso: “Fa uscire dall’Egitto il mio popolo”. Ecco la croce di Mosè: uomo tra Dio e il popolo, contemporaneamente vicino e distante dal suo popolo, solidale e diverso.
L’uomo tragico – Mosè appartiene a questo popolo, ma appartiene anche a Dio. Gli appartiene così tanto che vuole strapparlo al popolo per farlo capo di un’altra nazione. Ma Mosè non accetta. Anzi, a Dio dirà: “Perdona il loro peccato, oppure cancella anche me dal libro della vita” (Es 32,32). Mosè è un uomo lacerato tra cielo e terra, appartiene a Dio e alla terra, ad una terra maledetta e ad un Dio tutto santo. E’ un’appartenenza che lo lacera, lo distrugge, lo tormenta. Questo è il vero dramma di Mosè. Non è solo l’uomo che deve fare la volontà di Dio: anche Dio, in nome dell’amore che lo lega all’uomo, deve fare la volontà dell’uomo. Solo così splende l’eternità dell’amore: “Se tu non vieni con noi non farci lasciare questo luogo (…) Questo distinguerà me e il tuo popolo da tutti i popoli che abitano sulla terra” (Es 33,14-16) Non è bestemmia, non è rivolta: è la lotta dell’amore contro la giustizia, la lotta di Mosè, amato da Dio, contro un Dio che vuole essere giusto con il suo popolo.
E la storia Dio continua a scriverla con la vita di coloro che, come fu per Mosè, sono chiamati a fare attorno a sé “terra bruciata” per disporre il terreno ad una nuova semina. Risuonano forti le parole custodite nel rotolo di Isaia: “Alzati, rivestiti di luce (…) Ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni, ma su di te risplende il Signore (…) Cammineranno i popoli nella tua luce, i re allo splendore del suo sorgere (…) Volgi gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te” (Is 60,1-4). “Rivestiti di luce…” è un invito a ri-tornare ad ri-vestirsi della potenza che zampilla dalla Parola di Dio! Ma cosa significa?
“Gli occhi non si erano spenti e il vigore non gli era venuto meno…” (Dt 34,7)
Scrutando da lontano la Terra Promessa, sogno che gli ardeva negli occhi e nel cuore, Mosè morì. Non potè entrarvi. La sua morte è descritta in poche scarne righe che, tuttavia, commuovono: “Mosè salì sul monte, di fronte a Gerico. Il Signore gli mostrò tutto il paese dicendogli: (…) Te lo farò vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai. Mosè aveva centoventi anni quando morì, gli occhi non si erano spenti e il vigore non gli era venuto meno”. (Dt 34,1-4.7).
Il volto di Dio e la terra promessa sono le due cose che Mosè desiderò più di ogni altra cosa. Ma non le ottenne. Sospeso tra le esigenze di Dio e i peccati del popolo, Mosè fu un uomo molto solo, come succede ai veri profeti. A volte si lamenta con Dio rasentando la bestemmia: “Se mi devi trattare così, piuttosto fammi morire” (Nm 11,15).
Questo è Mosè che visse sognando la terra promessa, ma morì scrutandola da lontano, che visse sognando di scandagliare il volto di Dio, ma morì che lo aveva visto solo di spalle. L’uomo muore incompiuto perché il compimento albeggia Altrove. Il suo compito non era di entrare nella terra promessa, ma di accompagnare il popolo fin sulla soglia.
Un racconto rabbinico narra che quando Mosè supplicò il Signore di lasciarlo entrare, il Signore gli disse di scegliere fra due possibilità: o il perdono per i peccati del popolo o il suo ingresso nella terra promessa. Mosè scelse senza esitazione la prima possibilità.
A metà strada tra il cielo e la terra, un uomo, sconvolto da Dio, ha siglato l’abbraccio tra la bestemmia e la santità. Alle pendici infedeli del Sinai si rischiava la morte della vita. E’ ripartita la storia!
Merito di Mosè: un uomo lacerato tra cielo e terra!
GOD BLESS YOU!
Buona settimana