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“Insegnaci a pregare” (Lc 11, 1). È spiazzante l’ingenua semplicità con cui ha luogo questa richiesta, che sarà seguita da quella preghiera che abbiamo imparato da bambini, che insegniamo ai nostri figli e che ricordiamo come Padre Nostro.  
Non può non venirmi alla mente questo episodio, leggendo la prima lettura, tratta dal profeta Daniele: 

In quei giorni. Daniele pregò il Signore dicendo: «Signore, nostro Dio, che hai fatto uscire il tuo popolo dall’Egitto con mano forte e ti sei fatto un nome qual è oggi, noi abbiamo peccato, abbiamo agito da empi. Signore, secondo la tua giustizia, si plachi la tua ira e il tuo sdegno verso Gerusalemme, tua città, tuo monte santo, poiché per i nostri peccati e per l’iniquità dei nostri padri Gerusalemme e il tuo popolo sono oggetto di vituperio presso tutti i nostri vicini. Ora ascolta, nostro Dio, la preghiera del tuo servo e le sue suppliche e per amor tuo, o Signore, fa’ risplendere il tuo volto sopra il tuo santuario, che è devastato. Porgi l’orecchio, mio Dio, e ascolta: apri gli occhi e guarda le nostre distruzioni e la città sulla quale è stato invocato il tuo nome! Noi presentiamo le nostre suppliche davanti a te, confidando non sulla nostra giustizia, ma sulla tua grande misericordia. Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio, per amore di te stesso, mio Dio, poiché il tuo nome è stato invocato sulla tua città e sul tuo popolo». 

Di fronte a questa toccante preghiera, mi viene da pensare che, difficilmente, posso dire di aver capito cosa sia la preghiera. E, fin qui, non è – in realtà – tanto grave. Il problema grave è che è ancora più difficile ammettere che ci sia un problema. Parliamo di preghiera, organizziamo corsi e iniziative sulla preghiera. Sostanzialmente, siamo convinti – quindi – di sapere come pregare. Invece, forse, sbagliamo completamente strada.  

Me lo suggerisce proprio il capitolo 11 di Luca. Come Gesù spiega ai suoi discepoli come si fa a pregare? Semplice. Non lo spiega! Prega. Vedere Cristo pregare inietta direttamente in vena l’ineluttabilità della domanda: “come si fa ad essere come te?”. Solo quando sei toccato dalla bellezza, puoi dare vita ad una domanda come questa, perché si tratta di una domanda di desiderio, di autenticità. È un interrogativo che nasce solo in chi si mette in discussione, è disponibile a cambiare qualcosa del proprio sé, perché ha visto – in qualcun altro – la bellezza dell’autenticità.  

Quella preghiera – che lui ha visto compiere – diceva qualcosa su Gesù e la sua relazione con il Padre. Diceva del suo abbandono fiducioso, del suo amore, della tenerezza e dell’amore con cui, nello Spirito Santo, possono essere una cosa sola. Vedere ciò fa iniziare un cammino, fa nascere la volontà di una sequela. 
Non è stato Cristo a spiegare ai discepoli come si dovesse pregare. È stata la preghiera di Cristo che si è imposta, nella sua bellezza, e ha fatto nascere il desiderio d’imitazione, perché la pienezza di senso potesse abitare i loro gesti e le loro parole, così come abitava quelli del Maestro.  

Anche Daniele ci aiuta a comprendere come pregare, prestando attenzione ad alcuni dettagli.

«Noi presentiamo le nostre suppliche davanti a te, confidando non sulla nostra giustizia, ma sulla tua grande misericordia».  

Questo è il primo insegnamento da mettere in saccoccia e ricordare, in particolare, quando ci sentiamo frustrati e riteniamo che le nostre preghiere sono vane. Quante volte, nella preghiera, confidiamo nella nostra giustizia, avanziamo le nostre richieste, promuoviamo le nostre iniziative, cercando l’approvazione del Signore, avendo per modello più donna Prassede che donna Maria di Nazaret? Temo purtroppo che, a guardarci in profondità, dovremmo tutti ammettere che questi sono, molto spesso, i sentimenti che abitano il nostro cuore e muovono le nostre preghiere ed il nostro rapporto con Dio, perché ci dimentichiamo di come, senza la grazia, la nostra volontà è sempre povera e la nostra giustizia rimane condizionata e difficilmente capace di reale onestà.  

«Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio, per amore di te stesso, mio Dio, poiché il tuo nome è stato invocato sulla tua città e sul tuo popolo» 

In un attimo di onestà, dovremmo rendercene conto. Non è solo il popolo d’Israele a coprirsi d’iniquità. Lo è ciascuno di noi. Quando la pavidità frena la lingua e preferiamo tacere di fronte all’ingiustizia e al sopruso. Quando il dialogo è un monologo, perché non ascoltiamo e non riportiamo onestamente la nostra identità ma indossiamo un giorno una maschera diversa, pur di sentirci apprezzati dal prossimo, ingannando noi stessi ed il prossimo, ma mai Dio, che vede nel segreto. Potremmo dunque invocare la clemenza, per buona condotta? Gesù ci ricorda che solo Dio è buono. Per questo, anche rivolgendoci a Dio, la preghiera più sincera è quella che si rivolge al Suo amore, perché fedele ed infinito. È sul suo amore che possiamo scommettere, ogni volta, per rialzare lo sguardo e rinnovare la speranza, non solo nel futuro, ma anche e soprattutto in quella creatura che è di Dio e, se è di Dio, è nata e vive nel suo amore infinito e, in esso, trova il coragio anche i limiti e le imperfezioni con cui ci troviamo a giocarci al quotidianità!  


Rif. Prima lettura nella Penultima dopo l’Epifania – Domenica della Divina Clemenza (Dn 9, 15-19; 1Tim 1, 12-17; Mc 2, 13-17) 


 Fonte immagine: WordPress

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