Ha lasciato che il mondo andasse com’era sempre andato. Per trent’anni accettò il mondo così come l’aveva trovato: impastato di perversa fatalità. Di straordinario non fece nulla: «(A Nazareth) Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Visse accontentandosi delle cose ordinarie: più che a preparare, le cose straordinarie servono a distrarre: «Gesù ha fatto per trent’anni una povera giornata, ma era certo che sarebbe venuto il giorno. E si è mantenuto libero per quel giorno» (P. Mazzolari). A trent’anni indossò un mantello, allacciò i suoi sandali, s’affrettò verso la Giudea. Era l’ora.
Giovanni, quando se lo trova innanzi, ancora non lo conosce. Il Cristo, per ciò che è nelle sue possibilità, non fa nulla per farsi riconoscere: salire sopra un paracarro, urlare “Io sono il Figlio di Dio”, spadroneggiare tra i suoi simili. Quello che compie tende a confondere le menti più che consolare i cuori: «Sono io che devo essere battezzato da te, e tu vieni da me?». E’ rischiosissimo confondere i ruoli: il Battista questo lo sa. Per questo dice: “Vieni qui tu, vado io in mezzo a quelle acque torbide”. Cristo declina l’invito «Lascia fare per ora, perchè conviene che adempiamo ogni giustizia». L’ora – la sua ora, l’ora per la quale era venuto al mondo – è quasi giunta. Dopo essere venuto al mondo per strade animali, c’è ancora un gesto che gli rimane per annunciare che il mondo Lui sceglie di guardarlo dal basso, dalla parte fallita: sciacquarsi nelle acque di quel fiume che Giovanni aveva additato come preparazione-finale alla sua venuta. Ancora un bagno, dunque, mancava all’ora di Cristo. Un gesto che era anche una presa di posizione delicatissima, da fini intenditori di anime: siccome l’uomo è troppo affaccendato per potersi occupare dei propri peccati, è Dio in persona a scendere per ricordare la propria storia, per aprire una strada, per dire “Ecco, io faccio nuove tutte le vostre storie. Se vorrete!”. E’ troppo comodo parlare di un paese dove non abbiamo mai messo piede. Per questo gli toccò di partire dal basso – dalle fondamenta della speranza, che sono i bassifondi del peccato -, per iniziare il restauro dell’intero caseggiato dell’umanità. Per tornare lassù.
Ciò che il Battista – abbronzato dal sole, la cintura di cuoio ai fianchi, i suoi capelli incolti – captò fu l’annuncio che l’ora stava per compiersi. Giusto il tempo di uscire dall’acqua, che il Padre convalidò la verità di quell’umile appartenenza: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento». Ancora lo Spirito a calarsi come rapace-consolatore, come trent’anni prima sulla Vergine perchè capisse che il fatto era serio, l’amore affidabile. La voce, tutt’oggi, odora di buono: c’è un amore in circolo, un figlio sopraggiunto, un diletto. Ancor prima della risposta, Dio chiama per nome. Di più: ama perdutamente, s’innamora alla gelosia. Esagera, com’è suo stile: «In te ho posto il mio compiacimento». Che è come dire: “Mi piaci da impazzire”. Gli umani, tra loro, vanno dicendosi: “E’ un piacere averla conosciuta – Piacere mio, risponde l’altro”. Per Dio, invece, ogni storia è un piacere ripetersela, (ri)guardarsela, ricostruirsela: “Uomo, sei il mio piacere. In te provo piacere”. In ogni uomo che, sciacquatosi dalla vergogna, lo guarda, Dio s’innamora. Fino ad accreditargli un anticipo di salvezza.
Domattina, col capo ancora bagnato dalle acque battesimali, Cristo andrà a sfidare Satana nel deserto. Il deserto è il paese delle fiere selvatiche: è anche il paese di Dio. Dentro quell’arsura porterà a spasso chi sceglierà d’amare: sarà come farsi accompagnare da una mano che senti amica. Prima d’inoltrarsi, giusto un pugno d’acqua in testa: come promemoria di un’appartenenza, come armatura per andare a far la guerra-al-male, come antidoto alla disperazione di non essere amati da nessuno: “Sei mio. Mi appartieni, io t’appartengo. Mi piaci: sei il mio piacere”. Nel deserto, col capo bagnato e il timpano consolato, Satana vede i fasti del passato: Cristo intravede gli anticipi del futuro. E’ cosa nota che Dio chiami molto prima che le sue creature siano disposte all’ascolto. E’ il suo modo, forse, per dirmi che mai e poi mai sarei riuscito ad intrappolarlo.
In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (Mt 3,13-17).
Il Vangelo al femminile
di Elettra Ferrigno
Bella compagnia ti sei scelto, Cristo!
Vivi di noi. Sei la Verità che non ragiona: un Dio che pena nel cuore dell’uomo (D. M. Turoldo)
Un salto nel buio fu la scelta di farsi Bambino per essere il Dio-con-noi. Per tutta l’eternità meditò sul tempo della Sua venuta, sul paese nel quale sarebbe nato, la città in cui sarebbe apparso, la gente, la razza, i sistemi politici ed economici che Lo avrebbero circondato, la lingua che avrebbe parlato, e l’atteggiamento psicologico con cui sarebbe venuto a contatto come Signore della Storia e Salvatore del mondo. A tutta un’eternità passata in silenzio, aggiunse altri trent’anni per non improvvisare su tempistiche e modalità di presentazione che, visto il curriculum, non risultassero come manovre troppo azzardate, fintantoché rese urgente da comunicare la notizia di voler essere il Dio-come-noi. Anche stavolta fu un salto nel buio, di più: nella feccia della storia. Ai suoi esordi, Cristo, per presentarsi, non trovò modo migliore che quello di mettersi in fila coi peccatori, ostinato a diventare carne di peccato, a farsi maledizione pur di riscattare il maledetto: «In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui» (liturgia della Festa del Battesimo del Signore). Non si sa cosa fece prima di quel giorno, e cosa aveva dentro da tenerlo fermo a un banco d’operaio, dopo quella sua strana nascita! Cosa faceva precisamente in casa? E in bottega, levigò legni o parole? Trent’anni di silenzio, interrotti solo dal breve episodio del suo smarrimento nel Tempio: per cercare le cose più umili da comunicare al mondo in modo grandioso, per chiedere alle parole solo il necessario, per articolare un mistero dentro le sillabe, per dare un suono al silenzio, per cercare un’immagine per ciò che é al di là di ogni immagine. Per dire all’uomo che é tutta la ragione della Sua venuta. Tutto converge lì, ora, su quelle rive fangose. A bordo fiume, ad un passo dalla lordura, nel chiudere la fila -ultimo degli infami e dei malfattori-, Cristo é ora un uomo che interrompe il silenzio. E già che s’é deciso a parlare, é opportuno che l’uomo taccia e ascolti. Vale anche per Giovanni, che non poteva accettare una così sconcertante richiesta e continuava ad impedirgli di essere battezzato. “Questo Battesimo non s’ha da fare!”, urlava deluso, stordito, spiazzato. «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?»: é la domanda della lucerna alla luce, della voce alla Parola, dell’amico allo sposo, di colui che é il più grande tra i nati di donna a colui che é il primogenito di ogni creatura. Dell’uomo che aveva profetizzato, e non predetto. Ma Cristo per noi uomini e per la nostra salvezza discese, e viene da me al netto di ogni mia incapacità di andare verso di Lui. Questa é la sua traiettoria di Figlio: discendere e venire. In tutti i passaggi maledetti della miseria, della solitudine, della stanchezza, perfino del sudore di sangue. Questo é Dio: un Cuore che si inabissa nel grande oceano delle umane sozzure, che si immerge nel mio peccato per poterlo redimere, che vuole affogare completamente nella mia morte per poterla trasformare in vita. A Giovanni, come a ciascun uomo, chiede il permesso di poter patire-con: «Lascia fare, per ora», “Permettimi di entrare nel tuo male, concedimi di immergermi nella tua situazione, ne usciremo entrambi vincitori: così adempiamo ad ogni giustizia. Se non mi limito a camminare in tua compagnia, ma divento come te, forse ti convincerai ad accogliermi”. Cristo riemerge, come Uomo tra gli uomini, da un rivolo di mare e da cumuli di male; come Dio, invece, s’innalza attirando tutti a se. Quei cieli, preclusi e sbarrati dai tempi di Adamo, vengono scompaginati da una Voce. É il Padre, di Lui solo queste parole si udranno, non altre: «Questi é il mio Figlio, l’amato, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo!». Si riapre il sipario, lo Spirito scende librato sugli abissi per compiere l’esodo dal caos alle forme, dal disordine alla bellezza. É un nuovo inizio, ora che Dio é in terra, ora che la terra ha lo stesso respiro di Dio. Una miniatura di tutto il Vangelo é il Battesimo di Cristo: ora si immerge coi peccatori, sarà crocifisso tra malfattori; ora si squarciano i cieli, si squarcerà il velo del Tempio; ora riceve lo Spirito, sulla Croce lo consegnerà. Nel mezzo solo uomini in fila. Accalcati, a far baruffa: malfattori, traditori, maledetti, increduli, adulteri, violenti, provocatori, peccatori d’ogni sorta. Bella compagnia ti sei scelto, Cristo! Eppure son quelli gli uomini che, in virtù del Suo Battesimo, Egli ha voluto rendere stirpe eletta, gente santa, sacerdozio regale. Fra quelli ci siamo anche noi: peccatori, eppure re, sacerdoti, profeti.
Davvero troppo umano, un Dio così!