La stanchezza, in questa stagione, regna sovrana: a causa del solleone, di una scuola ch’è terminata, di pensieri così rombanti che non si addormentano la notte. Di una cronaca quotidiana che, giorno dopo giorno, si incattivisce sempre di più. Stanchezza che, lavorata ai fianchi, si tramuta presto in pigrizia: “A cosa serve? Tanto non cambia mai niente!” è la conclusione. Qualcuno, per non farla apparire così brutta, la chiama indolenza: è un’astuzia linguistica ben vestita per «far sembrare raffinata la mia pigrizia» (B. Williams). C’è gente, nel mondo, che per alzarsi dal letto e mettersi alla tastiera di un computer fa uno sforzo tale che, per la stanchezza, si rimette poi a dormire, senza la minima preoccupazione di seguire il viaggio che un giudizio, un’affermazione, compie dopo che qualcuno l’ha partorita. L’importante, sembra, sia riposarsi ancora prima d’essere stanchi.
Penso molto, in questa stagione di cronaca agitata e nervosa, alla capacità di ragionamento dell’uomo. Si inizia a ragionare seguendo il senso-comune. Ci sono dei concetti che sono patrimonio di tutti, a disposizione di tutti: nessuno inizia mai a ragionare da zero, poggiamo tutti su conquiste di significato fatte da altri prima di noi. Se ogni volta partissimo da zero, la storia del pensiero non sarebbe mai avanzata e l’uomo sarebbe come i gamberi. Ciò che rende l’uomo veramente uomo, però, è la coscienza: dopo che ha imparato a ragionare, la sfida che l’attende è quella di migliorarsi mettendoci del suo. Prendendo un pensiero e, sviluppandolo, aiutarlo a fare un passo in più rispetto al punto di partenza. Il problema nasce quando – a causa dell’abitudine di riposare il cervello prima di stancarlo – ci si arresta al senso comune. Che è come dire: “Siccome ragionare con la mia testa è difficile, scelgo di affittare uno slogan e lo uso al posto del mio pensiero”. Hanno ragione a dire che pensare è difficile: per farlo è necessario conoscere dal vivo una realtà, analizzarla mettendo in gioco la propria interiorità, articolare un pensiero intellettualmente onesto e rispettoso della realtà e della nostra intelligenza. Quando gli slogans, che sono la forma di distrazione di massa dei nostri giorni, allagano tutto il nostro pensare, l’uomo ha affittato il suo cervello al primo pennivendolo di passaggio. Ha deciso il da farsi: dal momento che per ragionare occorre mettersi in gioco, sceglie di noleggiare pensieri già pensati. Ripentendoli, poi, all’infinito. L’uomo, quell’uomo, ha scelto di mettere all’asta la propria dignità: da essere pensante quale era, si è ridotto a diventare bestiame da ingrasso. Un altoparlante ambulante di slogans altrui.
Alcune persone non dicono nulla, parlano del niente, gridano il niente: «Lo fanno in un modo affascinante», però, scriveva Curzio Malaparte. Certuni, poi, sono terribilmente affascinati da quel niente: non son assolutamente pigri, sono fortemente motivati a non fare nulla. A non dire nulla, ripetendo il nulla come un mantra. Sento il loro baccano, ma non ascolterò il baccano che fanno perchè le loro sono «cose di poca importanza, ma per queste sciocchezze essi soffrono perchè le prendono sul serio» (A. De Saint-Exupéry).
Li sento fare-baccano e penso al pavimento: è un soffitto stanco.
(da Il Mattino di Padova, 30 giugno 2019)