consolanteMeno male che tra di loro sorse un malcontento: così possiamo stare tranquilli se nella nostra Diocesi si mormora, se nelle nostre parrocchie ci s’azzuffa per i primi posti, se all’oratorio (dove ancora c’è) tutti vogliono la responsabilità a scapito dell’umile manovalanza. Meno male: non siamo certo i soli visto che anche nella prima comunità cristiana “quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica”. Come dire che nella diocesi i preti giovani mormorano contro quelli vecchi, quelli di Curia contro quelli di campagna, gli educatori dell’AC contro il gruppo dell’AGESCI. O semplicemente il parroco contro il suo viceparroco. Nessuna paura: siamo in linea con le origini, la fedeltà è assicurata. D’altronde era da immaginare che caratteri tra loro turbolenti, spigolosi e sbriluccicanti di carisma non fosse cosa semplice armonizzarli in una sinfonia. La Chiesa ideale è intrigante perché rimane ideale: tutto il resto è fatica, discussione, lacerazione e tormento. Con tanta speranza e sempre nuovi propositi da rimettere in piedi. Eppure Lui l’aveva detto: “Nella casa del Padre mio ci sono molti posti”, quasi a dire: “state calmi, porca la miseria (no, questo Gesù non l’avrebbe detto!) c’è spazio per tutti, non siate gelosi”. Eggià, anche nella Chiesa di quaggiù ci sarebbero molti posti: qualcuno ambito, qualcun altro un po’ meno, qualche altro possibilmente da evitare. Però i posti ci sono e la promessa non viene delusa. Ci sono i posti ma ci sono anche le rivalità, i personalismi, le faziosità, le “congreghe vicariali”, le botteghe personali da salvaguardare.

In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove.
Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola». Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani.
E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede. (Atti degli Apostoli cap. 6 vv. 1-7)

Pròcoro e Nicànore probabilmente avevano il loro carattere, diverso da quello di Filippo e Timone. E certamente non volevano assomigliare a Parmenàs. Ognuno il suo per uno scopo comune, come nelle migliori squadre di sport, laddove le particolarità non vanno livellate ma vanno accentuate al massimo per il bene della squadra. Nella chiesa primitiva raccontata oggi con sincerità dagli Atti degli apostoli non erano in tanti, nemmeno in pochi: erano quelli giusti per iniziare un’avventura che sarebbe diventata l’emblema di mille altre avventure. Compresa quell’ironia tutta biblica nascosta nell’ultima frase della lettura: “anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede”. Non è un’offesa ma un complimento bellissimo e lusinghiero pensare che, infognati nella burocratizzazione e nella gestione degli immobili parrocchiali, ogni tanto la gente si stupisca che anche il prete crede.
Ho immaginato il volto di Filippo stamattina: chissà che fervida la sua immaginazione, che potenziale di fantasia dentro quel nome che già ispira simpatia. Chissà che immagini del Padre s’era pitturato. Perché uno che chiede “Mostraci il Padre e ci basta” non è uno qualsiasi. E’ uno che mostra sete di Bellezza, che arde di novità, che cerca la Verità. Povero Filippo, mi piacerebbe aver visto il suo volto quando l’Uomo dei Vangeli ha esaudito quella richiesta: “Chi ha visto me ha visto il Padre”. Che botta! Lo vedeva tutti i giorni il Padre, dunque: negli occhi di Gesù, dell’amico, di quello speciale Compagno d’avventure. Eppure non l’aveva riconosciuto, forse. Che figura, Filippo: fatta anche a nome mio, comunque. Per fortuna che Lui c’ha smascherati tutti e due, prima Filippo e poi io: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”. Quasi a dirci a noi due poveri immaginatori: “fidatevi un pochino anche di me oltre che delle vostre immagini di Dio”. Quant’è forte questo Gesù: ci smaschera pure i pensieri, ci spoglia con lo sguardo, c’ammalia con quell’amabile capacità di riprenderti rilanciandoti al largo.

Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere.
Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. (Dal Vangelo di Giovanni cap. 14 vv. 1-12)

Insomma, nel mezzo del casino e delle mormorazioni Lui ha sempre la ricetta pronta per uscirne a testa alta. Avercene di Uomini così eleganti.

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