Mauritius, Marsa Alam, Playa del Carmen, Sain Moritz. Scatti fotografici di luoghi esotici, candore di montagne che si spera innevate, odori di spiagge impalmate, ebbrezza del riposo. T’arresti lungo la strada e t’impressiona la gente che scappa, forse impaurita dallo scorrere del tempo: volti indaffarati immersi negli ultimi preparativi, scorci di un’umanità alla disperata ricerca di un frammento di felicità. Viaggiare, assaporare terre lontane, inebriarsi di memorie dimenticate. Non è automatico sia vera felicità: «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”» (M.Proust). La Società Autostrade non lo dice, eppure tantissime altre famiglie sono in viaggio. Al posto delle spiagge assolate, però, trovano la fatica sofferta impressa sul volto, al posto di abbronzature e spensieratezze tradiscono il volto affaticato di chi s’intestardisce nel cercare un perché, al posto della frenesia ti porgono l’occasione di andare all’essenziale nella vita. Per avere se stessi in proprio potere: il potere più grande che il mondo conosca e, alla lunga, mal sopporti.
Direzione Egitto: anche il Vangelo si è messo in viaggio. Giuseppe è ancora avvolto in un mantello di sogni, di stanchezza e di stupore e un angelo gli allaccia i sandali e lo mette in cammino: «Giuseppe, alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto» (liturgia della Festa della Santa Famiglia di Nazareth). Per la bellezza di Elena, i Greci hanno preso in mano le armi e se la sono data di santa ragione. Ai tempi del Cristo Bambino, gli uomini e le donne hanno preso la Bellezza e l’hanno costretta a partire. A fuggire: ultima chance prima dell’estinzione. Dell’estradizione dal mondo di quaggiù, quello degli intelligenti e degli onesti. Il carpentiere è sorpreso e sedotto, la sua sposa è preoccupata e già madre, il Bambino è Dio, eppur ancora da proteggere. Eppure tutti via, in Egitto: terra di memorie e di storia, di esodi e splendori, di fatica e di libertà, di faraoni paranoici e di schiavitù accaldate attorno alle pentole con le cipolle. Terra d’eterna alleanza.
«Guardando la cosa da un punto di vista cristiano, non può essere del resto un problema particolare trascorrere un Natale nella cella di una prigione. Molti in questa casa celebreranno probabilmente un Natale più ricco di significato e più autentico di quanto non avvenga dove di questa festa non si conserva che il nome. Un prigioniero comprende meglio di chiunque altro che miseria, sofferenza, povertà, solitudine, abbandono e colpa hanno agli occhi di Dio un significato completamente diverso che nel giudizio degli uomini; che Dio si volge proprio verso coloro da cui gli uomini sono soliti distogliersi; che Cristo nacque in una stalla perchè non aveva trovato posto nell’albergo; tutto questo per un prigioniero è veramente un lieto annuncio e credendo questo, egli sa di essere inserito nella comunità dei cristiani che supera qualsiasi limite spaziale e temporale, e le mura della prigione perdono d’importanza» (D. Bonhoeffer, Lettera ai genitori, Tegel – 17 dicembre 1943).
Giuseppe e il silenzio delle grandi partenze: quelle che imbarazzano e stordiscono. Tutte le cose più grandi e belle, le cose più ricche e nobili maturano nel silenzio. La rugiada è silenzio. L’alba è silenzio. Il grano germoglia in silenzio. Il fiore rallegra e lascia intatto il silenzio. Le lacrime non fanno rumore. Il seno materno che tesse la vita del bimbo non fa rumore. Far silenzio è scendere dentro di noi per scoprire l’essenziale. Solo chi tace si scopre. Chi vive nel fracasso finisce col non sapere più chi è, cosa fa, dove va’. Tutti i grandi spiriti dell’umanità l’hanno compreso: solo nel silenzio risplende qualcosa. Dio e il silenzio, è il silenzio: Dio è come gli animali del bosco. Inizia a muoversi dopo un’ora che tu sei lì e aspetti. Lui e Maria. Dio ha scelto una famiglia per accamparsi nel mezzo dell’umanità ed apprendere l’arte di diventare uomo. Una famiglia che sperimenterà la legge della Natura: chi vuol mangiare la mandorla, rompa il guscio. Giuseppe comincerà la sua avventura di padre prendendo tra le braccia in tutta fretta la sua sposa, Maria, e il suo figlio, Gesù, nel cuore della notte per scappare e divenire fuggiasco e nomade. La salvezza ha mosso solo i primi passi nella terra, ma la cattiveria di Erode vuol distruggerla, anche a costo di trucidare tutti i volti infanti di Betlemme. Erode colpisce la famiglia: è uomo di cartapesta, ma non uomo stupido: “I tre quarti della felicità della vita – scrisse F. Dostoevskij – stanno tutti nella famiglia”. Così anche i tre quarti del dolore li troviamo dentro la famiglia. Erode lo sa, maledetto. Maria intuisce che per lei sta iniziando un’avventura di fede che le farà scoprire il mistero nascosto in quel prodigio. Lei, madre, quel Figlio lo vedrà allontanarsi per poi riaverlo, splendente di misteriosa gloria, ai piedi di una croce. Giuseppe la guarda quella sposa lungamente adocchiata: la guarda e capisce. Conosce. Ama: sempre, ad oltranza, sempre di più.
Hanno messo in fuga la Bellezza: alla luce hanno mostrato di preferire le tenebre. Un giorno volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto. Nel frattempo, sta profugo e straniero in una terra ch’era di faraoni e di schiavi.