Gliel’aveva detto l’Arcangelo, come ultima accelerazione in vista della sua risposta: «Nulla è impossibile a Dio, (Maria)» (Lc 1,37). La faccenda alla quale il nostro arcangelo si riferiva era quella riguardante Elisabetta e Zaccaria, parenti della piccola Madonna: di loro due, per motivi fisici a noi ignoti, inutili ai fini della faccenda, «tutti dicevano sterile». Li prendevano per i fondelli, al tempo in cui la sterilità era considerata maledizione, poca simpatia da parte del cielo, una sorta di onta generazionale. Resta il fatto, fa capire Gabriele a Maria quella mattina a Nazareth, che a Dio piacciono assai le sfide impossibili: resteranno l’occasione migliore per accorgersi subito di chi scappa e di chi, invece, rimane. Fu allora, stretta tra capo e cuore, che la futura Madonna sentì tradursi l’invito con parole bambine, che anche lei potesse acciuffare al volo: “Hai voglia anche tu, ragazza, di dare una possibilità all’impossibile di Dio?” Visto che «anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei». Del tipo: sappi bene che, qualunque sia la tua scelta, ogni giorno, in qualche parte del mondo, Dio continuerà a fare qualcosa che qualcuno dice impossibile. Il fatto è che per Dio «fare l’impossibile è una specie di divertimento» (W. Disney).
Per questo Maria non andò mai a trovare Elisabetta, come pensano in tanti che leggono le righe sacre dei Vangeli. Maria, fedele all’arcangelo, andò a fare visita al possibile di Dio, ch’è l’impossibile degli uomini. «Si alzò e andò in fretta»: siccome dal divano tutto il mondo sembra brutto, cattivo e disonesto, andò a vedere di persona che faccia avesse il possibile di Dio. La sua non fu la fretta di chi fa tutto di fretta, finendo per fare i gattini ciechi: era solo la voglia pazza di andare a vedere chi sarebbe potuta diventare dopo aver prestato ascolto all’annunciazione dell’angelo. Fu la sua più bella dimostrazione di libertà assoluta di fronte a Dio. Ogni scelta, lei so sapeva, è come un salto: ti spaventa, lo rimandi il più possibile, ma se ti butti il salto diventa libertà. E l’impossibile degli uomini diventa l’occasione di Dio: «chiunque ami crede nell’impossibile» (E. Browning). Secondo alcuni testi di tecnica, pure scientificamente autorevoli, il calabrone non può volare: ha un rapporto pessimo tra forma, peso del proprio corpo e la superficie alare. Il calabrone, però, non lo sa: perciò continua a volare. Per la gioia di chi ama l’impossibile: «Benedetta tu fra le donne, benedetto il frutto del tuo seno» le esclama Elisabetta, cugina sua incinta. Senz’accorgersi, Elisabetta, che così gioendo sta inventando un pezzo intero di quella che sarà la preghiera più eterna e larga che il mondo dedicherà a sua cugina, nei secoli a venire: l’Ave Maria. Il manifesto più alto di femminilità.
Non sarà beata Maria per aver dato alla luce il più bello tra i figli nati dalle donne. Lo sarà per quel suo gesto che ha reso possibile la nascita di un Figliolo così: perchè «ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le aveva detto». E questo, con buona pace dell’anima mia, resterà la più grande differenza che c’è tra me e la Madonna. Non una differenza di sesso, maschile o femminile, nè una differenza di provenienza o estrazione. Rimane una differenza di posizione tra me e lei. Io, a Dio: “Prima voglio capire bene questa faccenda che tu chiedi: poi deciderò se accettarla oppure no”. Maria, a Dio: “Cerco di amare ciò che tu mi stai chiedendo per riuscire un giorno a capire cosa mi sta succedendo”. Dio, nel frattempo, fuori dalle anime in cui sta lavorando, lascia appeso un cartello di quelli che fanno la storia dell’umanità: “Chi pensa che una cosa sia impossibile, è pregato di non disturbare chi sta provando a farla accadere”. E’ cosa nota che si insegna a scuola ai bambini: alcune delle più grandi imprese del mondo sono state realizzate da persone che non erano abbastanza intelligenti da capire che quelle cose eran impossibili. Una buona occasione nella vita si presenta, prima o poi: il problema è saperla riconoscere. E coglierla. Del tipo: un pompelmo è un limone che ha avuto la sua splendida occasione. E ne ha approfittato.
(da Il Sussidiario, 21 dicembre 2024)
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Vangelo di Luca 1,39-45).
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«Beati gli ultimi perché saranno i primi. A sorridere della spudoratezza di Dio». È la vecchia storia della maglia nera che c’è stata al Giro d’Italia dal 1946 al 1951: a indossarla, e dunque a vincerla, era colui che si classificava ultimo. Era, chiaramente, l’esatto opposto della maglia rosa, quella indossata dal primo arrivato. Valeva tanto quanto. Uno che se ne intendeva era Luigi Malabrocca, famoso proprio per aver indossato una maglia così epica e strana. Non è mai entusiasmante, nel mondo degli uomini, arrivare ultimi. Quando, però, incontri un ultimo diventato primo, è l’attimo nel quale ti si svela l’evidenza di quell’apparente assurdità architettata dal Cristo: «Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,44). Il Cristo che, quando voleva deteriorare alla base le verità dei presunti santi, insospettiva con creanza e savoir-faire: «Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi» (10,31). Detto e fatto. Detto e rifatto. Con lo stile dissacrante e profondo che ormai gli è proprio, il parroco del carcere di Padova, vicino da sempre a Papa Francesco, segue il Vangelo di Luca per andare in gita dentro le sue provocanti immagini, in un cammino mai prevedibile come quello di Gesù, per ritornarsene poi nella vita di tutti i giorni con un’evidenza più luminosa. Come se, specchiandosi nelle pagine dei Vangeli, la vita – quella che, sovente, fatichiamo a leggere nei minimi dettagli – si ripresentasse ai suoi occhi in alta definizione. È la magia di parole, quelle evangeliche, che non hanno mai finito di raccontare tutto ciò che sognano di raccontare ai loro innumerevoli lettori» (dalla quarta di copertina).
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Una risposta
Caro P. Marco, grazie per questa bella lettura dell’Annunciazione, uno dei brani più belli del Vangelo. Piango sempre quando lo leggo per questa fiducia bambina che nulla spaventa. Lei dice: “la differenza….” Io però: sono certa che, se glielo chiediamo, Lui ci darà questa fiducia in Lui, quando gli sarà necessaria, perché “qualsiasi cosa chiederte al Padre nel mio nome,, egli ve la darà (Gv 16,23-4). Buona domenica e tanta fiducia a Lei!!!