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Dall’eternità al tempo degli uomini. Se fosse una disciplina olimpica, sarebbe molto simile al tuffo dal trampolino più alto che esista. Un salto abbellito da numerose difficoltà tecniche, una sfida alla forza di gravità ed un vero e proprio sberleffo alla logica di un Nemico che, strisciante là in basso, va insinuando che tutta quella fatica non servirà proprio a nulla. Fiato sprecato.
Dall’eternità al tempo degli uomini c’è un Amore che non si accontenta di starsene fermo in un angolino e accetta invece di mettersi in marcia, modulando il proprio passo su quello più piccolo delle sue creature. Lo fa ogni genitore, il Padre per eccellenza non è da meno.
“Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi?” (Sal 8,5) chiederà qualcuno. Lui risponderà chiamando ogni uomo con il suo nome, sarà il suo attestato di cura, il certificato di una paternità che non si fa scrupolo alcuno a scendere dal cielo alla terra pur di amare senza riserve.
Per quel tuffo, tuttavia, serve molto di più che un profondo spazio d’acqua. Servono libertà, fiducia ed accoglienza. Per poter venire al mondo Dio non sceglie nessuna delle teofanie dell’Antico Testamento, da quella spettacolare del Sinai al mormorio di vento leggero che ristora Elia, ma domanda il consenso della sua creatura, aspettando la sua risposta con la stessa trepidazione di un innamorato.
“Ecco la serva del Signore.” (Lc 1,38)
Serve un “sì” che cambia ogni cosa e che s’incastona nell’eternità come un gioiello d’inestimabile valore, risplendendo per tutte le genti. Un “sì” degno di un’influencer – afferma Papa Francesco – perché ha cambiato per sempre il corso della storia. Da quel momento in poi niente sarà più come prima. Grazie a lei la Misericordia è nata nel mondo e ne ha percorso le strade, dal legno di una mangiatoia fino a quello di una croce.
Un accostamento teologicamente ineccepibile, sotto tutti i punti di vista.
Maria influencer di Dio e per Dio.
Nei trent’anni di silenzio, in quel di Nazareth, il Figlio imparò ad essere figlio. Nessun timore di sminuirsi, se la scuola era quella della Piena di Grazia che aveva Dio con sé in ogni istante.
“Cosa c’è tra me e te, donna? Non è ancora giunta la mia ora.” (Gv 2,4)
Rimessasi la maiuscola addosso, una volta intraprese le strade del mondo, quel Figlio non si scorda d’essere figlio e a Cana si mostra come il Dio che non disdegna la festa ed è felice per le gioie degli uomini. “L’acqua davanti al suo Dio arrossisce” (S. Jacomuzzi, Cominciò in Galilea). Accontenta la madre, riconoscendo nella sua sollecita premura verso gli sposi il segno distintivo di un amore che non attende d’essere interpellato, ma è sempre in viaggio verso il prossimo. Da quell’ora in poi non s’arresterà più, e persino quando penseranno d’averlo inchiodato alla croce avrà parole di misericordia per un ladrone e per i propri aguzzini.
“Donna, ecco tuo figlio.” (Gv 19,26)
All’inizio del ministero e alla fine, Maria viene presentata come una sorta di alfa-e-omega per la vita di Gesù. Una chiusura del cerchio che si situa agli antipodi: a Cana c’erano festa e gioia, sul Golgota solo dolore e lacrime. Ed è in quel momento, in cui tutto sembra essere giunto al termine secondo la logica umana, che il Figlio propone una nuova partenza. La madre prende su di sé la maiuscola, Madre di Dio, ma anche Madre della Chiesa e di tutti i suoi figli, ricevendo poi il sigillo definitivo in quel lontano giorno di Pentecoste.
Un atto esagerato, quello di affidarle il titolo di influencer? Decisamente no.
E se ancora non siete convinti, pensate alle parole dell’Ave Maria: “prega per noi peccatori” non è un rimanere ai margini dell’Amore divino, come spettatrice, ma un intervenire concreto che si protende verso i propri figli per portarli verso la Misericordia.

Foto: Vatican News.

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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