bottedivinoUna donna conturbante e malefica, istriona e ammaliante, debole e fantasmagorica. Sempre all’erta per mostrare che il più delle volte basta uno sguardo zingaro a ribaltare una situazione vecchia di decenni. Fosse una donna, la trasgressione poco si discosterebbe da tali fisionomie. Il vocabolario della lingua italiana insegna che “trasgredire” significa “andare al di là, passare oltre”. Lo si usa ogni qual volta si voglia additare qualcosa che ha ecceduto i limiti ordinari e convenevoli di checchesia, ma specialmente per indicare la disobbedienza a qualcosa che era stato comandato o che indossava i panni del precetto. E’ un termine che nel suo ventre tiene un qualcosa di negativo e di infame: chi ne indossa le vesti, il più delle volte viene cacciato fuori dalle città dove abitano i perbenisti, i benpensanti e i puritani.
A ben riflettere, però, la trasgressione è l’unica maniera rimasta per iniziare una ribellione, un modo concreto per esprimere il proprio dissenso. La cultura contadina ce lo insegna: non è forse vero che gli otri e le botti di vino scoppiano se non si apre di tanto in tanto lo sfiatatoio? Anche l’uomo è una botte vecchia: ogni tanto c’è bisogno che l’insensatezza, che è innata in noi, abbia la possibilità di fuoriuscire e di evaporare. Nell’antichità si era convinti che i momenti di trasgressione servissero come valvola di sicurezza: il peso imposto dal mantenimento dell’ordine e la repressione degli istinti faceva sì che ogni tanto ci fosse bisogno di questi periodi buffi perchè l’intero sistema non saltasse in aria. Il manager, vestito in smoking da mattina a sera, entra a casa e indossa la tuta. Il prete (non è il caso di chi scrive), con la tonaca sempre addosso, giunto a sera veste i panni del casalingo. La modella, tirata e perfetta fuori di casa, al rientro s’abbandona alla comodità dell’informalità. Ciò che succede con il vestito succede anche con il modo di fare: bambini impeccabili nei ristoranti, a casa vestono i panni di Bertoldo. Mamme succinte di creme abbronzanti e dimagranti in ufficio, a casa tornano ad essere mamme imperfette. Per mantenere la perfezione a volta è necessario dare libero sfogo all’imperfezione. Come dire: il bello ha bisogno anche del brutto per poter continuare a splendere. Pur consapevoli che entrambi non possono vivere contemporaneamente assieme.
Letta con questi occhiali, questo pezzo di storia che stiamo vivendo non appare più così brutto e nefasto. Perchè – pensandoci dentro ad un momento carnevalesco – potremmo sempre attendere l’avvento del dopo. Che, come nel calendario, è quasi sempre un tempo di quaresima. Nelle festività si sgarra qualcosa, ma appena rientrati ci si caccia in palestra. Nelle vacanze si evita qualche compito, ma appena rientrati bisogna recuperare. La mattina ci si alza un po’ più tardi, ma poi il lavoro sarà maggiore in minore tempo. Però è importante sfiatare le botti, altrimenti scoppiano. Cosicchè la politica trasgredisce per poter mantenere il suo ordine, la chiesa trasgredisce per mantenere la sua purezza, la società trasgredisce per rilanciare la sua velocità.
A volte occorre affrancarci dal ruolo per poter ritrovare la credibilità del nostro ruolo, la libertà della nostra espressione, l’importanza della nostra immaginazione colorata. Forse per questo è nato il Carnevale: per sfiatare le botti della nostra vita e permettere loro di non scoppiare. Cum grano salis, è ovvio che il carnevale non può durare sempre, ma sfruttarlo bene ci potrebbe permettere di iniziare poi la Quaresima – dietro ogni carnevale c’è una quaresima, come dietro ogni abbuffata c’è poi una dieta – e ritrovare la voglia di giocarci la vita. Forse sarà così anche per la nostra politica. Certamente lo sarà per la nostra Chiesa: abbiamo il coraggio di re-inventare la Chiesa (nel senso di immaginarla all’opera diversamente) o siamo disposti a continuare a vivere questa dispersione ancora a lungo? La botte si sfiata per custodire il vino.

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