Pioveva a dirotto sull’Altopiano di Lavarone (TN). Ma – come tu ben sai Peppone – il giorno in cui un atleta si alza e, vedendo piovere, decide di starsene a letto, quello è il primo giorno del suo pensionamento precoce: fosse anche solo alla veneranda età di trent’anni. Son partito e mi aspettava il tratto di strada Lavarone (1187 m.) – Passo Vezzena (1401 m.): una delle mie vecchie palestre d’allenamento. Tra andata e ritorno 22 km. Lungo i primi tornanti un signore panciuto e conosciuto – figlio legittimo dell’uomo dell’osteria che nulla capisce di sport – beffardamente e col sorriso m’incita a correre, nel mentre sorseggiava la sua birra alle otto di mattina. Io, dopo duecento metri, ero già zuppo fradicio. Ho bloccato l’istinto che m’invitava a reagire (gli ho solo dedicato uno sguardo furioso): e ho raddoppiato la caparbietà di salire verso la cima (per la cronaca: 250 m. di dislivello, 22,354 km, 1h 41’35”). Però, giunto a casa, gli ho scritto due righe e gliele ho fatte trovare al bancone stamattina, unite ad una colazione che gli ho offerto.
Le scarpe odorose di polvere, il completino fradicio di sudore, il veloce battito del cuore. E poi chilometri e chilometri: tra sentieri di campagna e strade asfaltate, nel verde dei prati e lungo le vecchie ferrovie incontrando paesaggi, persone e fontane d’acqua. E’ questo prima di tutto il sapore della corsa: gustare piccole soddisfazioni, godere di un limite abbassato, avvertire la musica di muscoli sempre più brillanti. Certamente c’è la storia del soldato greco Filippide, il primo “maratoneta” registrato negli archivi: di lui si ricorda quell’urlo lanciato sotto le mura d’Atene: “Abbiamo vinto”. Ma dietro di lui c’è tutta una storia di imprese, di tentativi, di appostamenti e di preparazioni che fanno di lei, donna Maratona, la sfida dell’uomo con gli uomini, dell’uomo con se stesso, dell’uomo con i propri limiti. E’ la bella lezione dello sport che, quando rimane tale, è capace di forgiare il carattere, tenere equilibrata la mente, allenare la vita a non mollare la presa. Non è un caso che tante volte si paragoni l’esistenza ad una corsa da affrontare, la vita come una maratona. Poche volte viene chiesta la brillantezza di un centometrista, il più delle volte serve la costanza e il fiuto di un maratoneta. Che dosa lo sforzo, programma con intelligenza la gara, dosa le energie; che sa quando scattare, aumentare il passo, recuperare. Attento a non lasciarsi scappare l’attimo che fa di un ritmo magari sonnolento la velocità giusta per la vittoria.
E’ un bellissimo mistero l’atleta: sotto la canicola d’agosto o il gelo di gennaio, con la pioggia o il vento, sotto una bufera o trepidante per un temporale lui è sempre presente. Perché sa che la medaglia è questione di tanta costanza e altissima precisione: non s’improvvisa una maratona, la si pianifica. I primi allenamenti corti che s’allungano sempre più, i cambi di ritmo prima lenti poi sempre più faticosi, la corsa media, le ripetute e quei lunghissimi che pian piano t’avvicinano alla soglia dei 42 km, alla soglia dell’emozione. E’ la vita: che si conquista pian piano, che si gusta, alla quale ci s’allena, che non s’improvvisa, che t’invita ad ascoltare te stesso per imparare a parlare con il mondo. Guardi l’atleta e vedi la passione, lo stupore, la caparbietà nascosta sotto quelle smorfie di fatica, la sofferenza dell’allenamento per vivere poi la gara da campione.
Lo scrisse Jesse Owens, il campione nero che indispettì Adolf Hitler ai giochi Olimpici di Berlino: “Amo correre, è una cosa che puoi fare contando sulle tue sole forze, sui tuoi piedi e sul coraggio dei tuoi polmoni”. E’ dentro queste immagini che ha trafugato Paolo di Tarso, l’atleta di Dio, per parlare della fede: lodando la padronanza dell’atleta, l’impegno totale, il raccoglimento durante la gara, il non risparmiarsi ammaestrava sull’agonismo spirituale, sull’addestramento dell’anima, sulla corsa verso Cristo. Che è risposta al traguardo dell’Eternità. E, all’amico Timoteo, confessava il suo segreto d’atleta: “Corro perché conquistato!” (Fil 3,12). Nessun atleta corre tanto per correre (ormai nemmeno il mio amico Peppone-ex ciccione): ad accendere i suoi passi c’è sempre un sogno, un tocco di seduzione, un frammento di bellezza. Un qualcosa che seduce.
Che sia una medaglia o un Volto il prezzo non muta: si chiama sudore.
Ferruccio, il gestore del bar, m’ha assicurato che stamattina il vecchio panciuto ha gustato la colazione. Ma, dopo aver letto il biglietto, un po’ s’è commosso: perché nessuno gli aveva mai dedicato così tanta attenzione. Io ho fatto fatica a non rispondergli per le rime, sai Peppone, ma il buon Dio mi ha premiato, forse perché ho vinto il male con il bene: tornato a casa ho trovato un’email dell’altro nostro partner. Una cantante italiana – bellissima tra l’altro – sta scrivendo una canzone inedita sulla nostra avventura. Come dire: Peppone mio caro, siamo partiti per scherzo e adesso sta diventando tutto una simpaticissima e pericolosa avventura!
Tuo affezionatissimo
Sacerdote Camillo Runner